Una prospettiva teologica

Lettera diocesana 2021/06_Sguardi

Il sinodo diocesano è da considerarsi, a tutti gli effetti, un evento straordinario all’interno di quella che viene definita “la sinodalità ordinaria” (data dagli organismi di comunione: il consiglio presbiterale e il consiglio pastorale diocesano, il coordinamento vicariale, i consigli pastorali delle singole parrocchie).

Vivere questa esperienza straordinaria significa porre l’accento sulla soggettualità specifica di una Chiesa locale (una singola diocesi) che, in comunione con tutte le altre Chiese, è legittimata a discernere ciò che è bene per lei in ordine a una sempre rinnovata presenza evangelica all’interno di un contesto socio-culturale in continuo mutamento.

La soggettualità cui si fa riferimento non appartiene solo al vescovo, ma è nella Chiesa tutta: tutti sono soggetti all’interno della Chiesa-soggetto in forza dei sacramenti dell’iniziazione cristiana e dell’unica unzione dello Spirito Santo. Premesso ciò, non si può però parlare di una corresponsabilità indistinta: il vescovo è il garante della cattolicità e dell’apostolicità (del legame tra tutte le Chiese locali e della comunione tra esse) e a lui spettano le decisioni ultime e il legiferare. Tutti i cristiani però, ministri ordinati e laici, sono chiamati allo stesso modo a dare il loro contributo per il bene della Chiesa e in aiuto al loro vescovo, in riferimento ai loro particolari carismi e alle loro competenze.

Lungo la storia, la Chiesa sempre si è radunata e ha celebrato dei sinodi, diversi sia nella forma che nei contenuti. Ciascun sinodo, inserito nel suo contesto vitale, ha rispecchiato un modello ecclesiologico diverso. Facciamo un piccolo excursus storico delle varie epoche:

  • Nei primi secoli le assemblee della Chiesa locale sono state convocate per eleggere il vescovo (quindi sono in assenza di vescovo) o per contrastare eresie o apostasie.
  • Successivamente si è assistito a un processo di clericalizzazione: la dispersione del presbiterio (prima unito); l’ampiamento del territorio di competenza di un vescovo; la burocratizzazione del vescovo stesso (non più in mezzo alle persone) hanno trasformato le assemblee della Chiesa in riunioni del vescovo con il presbiterio.
  • Nel Medioevo i sinodi sono diventati a tutti gli effetti lo strumento legislativo che i vescovi hanno utilizzato per governare. Contenevano, a mo’ di divieto o censura, numerosi decreti sulla vita morale e la disciplina personale del clero, sull’acquisto dei beni ecclesiastici, sul culto, sull’amministrazione dei sacramenti…
  • Il Concilio di Trento diventa uno spartiacque nella storia e consegna un’impostazione monarchica e gerarchica della Chiesa stessa. Da Trento in poi, i sinodi (annuali) servivano perciò per adeguare a livello locale le leggi a carattere universale che venivano emanate dalle autorità centrali della Chiesa.
  • Nei primi anni dell’Ottocento si assiste a una crisi di identità dei sinodi e all’intiepidimento dei partecipanti finché nel Concilio Vaticano I una minoranza chiede la ripresa dei sinodi (anche quelli diocesani) e l’introduzione del principio della “rappresentanza”. Questo appello però rimarrà inascoltato, nonostante nel Codice del 1917 compaia una piccola legislazione a riguardo, aprendo una breccia.
  • Con il Concilio ecumenico Vaticano II vi è una ripresa della pratica dei sinodi diocesani, con un carattere meno legislativo e “apparentemente più impreciso”, dove si dà soggettualità alla Chiesa tutta nella diversità dei ministeri e dei carismi, valorizzando il sensus fidei e il consensus fidelium di ogni battezzato.

Dentro all’alveo di questa storia, frutto anche del contesto nel quale ci troviamo e della valorizzazione della soggettualità della nostra Chiesa di Padova, ci apprestiamo a celebrare il nostro sinodo diocesano, il primo del Terzo Millennio.

don Roberto Frigo, segreteria del Sinodo diocesano rilegge:

Roberto Repole, Il Sinodo diocesano. Una prospettiva teologica, in Sinodalità a cura di Riccardo Battocchio e di Livio Tonello, EMP 2020, pp. 97-119