Spiritualità del dialogo ecumenico

Lettera diocesana_Sinodale_2023/05

Dio accompagnò l’uomo e la donna fuori del giardino. Dio diede loro pelli per coprirsi e, nella pienezza dei tempi, donò il suo Figlio, l’unico, fino alla croce. E ora potrebbe Dio rifiutare lo Spirito del Risorto a donne e uomini battezzati nella sua stessa morte e risurrezione, solo perché la storia li ha collocati fuori dal giardino della chiesa a cui noi apparteniamo?

Le chiese, come le anime, sono giardini coltivati da Dio, ma anche vigne devastate dal cinghiale del bosco. Un atteggiamento ecumenico non ci impedisce di credere che la nostra chiesa di appartenenza abbia custodito con maggior fedeltà, per un dono particolare, il deposito della fede, e che per grazia in essa sussista pienamente la Chiesa di Cristo. Un ecumenismo vero fa riconoscere in ciò un dono a beneficio di tutte le chiese, dalle quali ricevere altrettanti doni per una reciproca conferma nella fede. Dio semina e ogni terreno produce diversamente secondo le cure dell’agricoltore, l’invidia del nemico, la libertà dei contadini a cui è affidato.

I doni in più che una chiesa avesse ricevuto dovrebbero forse impedirle di riconoscere la bellezza di quelli che un’altra comunità avesse custodito e coltivato?

E i doni che trovassimo mancanti in un’altra chiesa non dovrebbero portarci a circondarla di maggiori cure?

Ecco, in fondo, l’ecumenismo: non un negoziato, per nulla, ma riconoscere ogni azione viva del Cristo risorto, non solo quelle compiute tra le nostre mura.

E la chiesa che avesse ricevuto più doni non dovrà divenire allora più esperta nel riconoscere il profumo di Cristo, la sua presenza vivente nei doni concessi alle altre?

Dov’è però in questo modo “la” Chiesa, la sposa nata dal fianco di Gesù? Non ne è minata l’unicità, se non chiamiamo più le altre chiese false facendo della nostra l’unica vera? Dov’è mai l’unità visibile del Cristo capo con le sue membra in questa compagine, ammettiamolo, “sgangherata” di comunità che talvolta credono cose diverse sullo stesso loro Signore e non di rado sanno ancora odiarsi e gareggiare (ma non nell’amore reciproco!)? Chi la cerca nel battesimo, anche se non tutti riconoscono quello delle altre chiese, chi nella Bibbia, perché dal Logos con cui Dio creò il mondo nasce la Chiesa, chi nei canoni dei primi sette concili ecumenici, chi nei carismi dello Spirito… Non temiamo (no, non temiamo!) di scadere nel sentimentalismo (qui non di sentimenti ma di una Persona si parla!) dicendo che l’unità della Chiesa germina dov’è l’Amore concreto: perché ogni persona può riceverlo, ma non possederlo. l’Amore invece vuole essere della Chiesa, non per merito ma per grazia, perché lo Sposo è Amore: lei gli appartiene perché lui l’ha acquistata donandosi fino al sangue, e dandosi a lei egli si è fatto indissolubilmente suo. Il corpo di lui le è donato, fino a divenire suo cibo, il corpo di lei è morto e risorto con lui nel battesimo fino a essere corpo mistico di lui. Amore vero tra noi, dunque, Agape, Amore cristiano, cioè di Cristo, gratuito, totalmente ed eternamente donato, Amore gioiosamente sacrificale che ha un solo nome in qualsiasi anima umana (e non solo cristiana!) germogli: Gesù. Davvero pensiamo che questa realtà vivente del Cristo risorto che ama la sua Sposa si lasci spegnere da scismi e dottrine, applicazioni etiche differenti e controversie sui territori canonici delle nostre chiese?

La Carità tutto comprende e nell’Amore tutto ha la propria importanza: le corrette formulazioni delle dottrine della nostra fede, l’incarnazione della fede nell’etica nella morale, i rapporti e gli organismi della comunione ecclesiale. Tuttavia la caratura ecumenica della nostra fede è questa: le diversità, anche sui più importanti temi, non possono spegnere l’Amore vivo di Gesù risorto per la sua Chiesa. E l’Amore con cui Lui la guarda non può non riflettersi, dal volto di lei, su di lui, sui propri figli, specie i più fragili, e sul mondo. Sì, camminando per mano verso il giardino rinnovato che il Padre prepara per loro a oriente, lo Sposo e la Sposa si adattano, nel tempo, ad amarsi in un giardino prima lussureggiante e poi devastato, qui valle oscura e là colle luminoso, un podere per nulla omogeneo: un giardino di giardini.

Bello, ma allora perché non conoscersi personalmente per potersi amare? Quante parrocchie della nostra Diocesi hanno nel loro territorio o in aree limitrofe chiese di altre confessioni? Ma soprattutto quale nostra comunità non convive con fedeli di Cristo, fratelli nostri, sepolti e rinati con lui, con i quali abbiamo rapporti di vicinato, lavorativi, di conoscenza, ma assai raramente rapporti di fede? Perché non iniziare a conoscersi per amarsi? È vero, ci sforziamo di trasmettere la fede alle nuove generazioni e l’idea di incontrare una comunità di ortodossi o di protestanti ci sembra complicare questa trasmissione anziché semplificarla! Ma non è l’Amore reciproco che fa crescere la forma di Cristo in noi? Non potrebbe essere proprio questo un atto liberante di fede nell’azione viva di Gesù, che attira tutti a sé? Non potrebbero i nostri giovani imparare anche da un protestante l’importanza della Parola e del rapporto personale con Cristo, o da un ortodosso la bellezza viva della liturgia o il significato della tradizione come trasmissione di una buona notizia attraverso le generazioni? Già, poiché non formiamo i giovani per trattenerli, ma perché siano liberati dalla verità che è Cristo, dall’esperienza viva del suo Amore.

Fabio Bossetto, componente di parte cattolica del consiglio delle Chiese cristiane di Padova