Linguaggi d’emergenza, ma carichi di umanità e di cura

Lettera diocesana 2020/04

L’acquasantiera è vuota e la memoria del Battesimo è sostituita da un frettoloso sfregamento di mano al gusto di alcol.

Il parroco non deve più chiedere di “venire a occupare i posti davanti per fare assemblea” perché la separazione ora è rituale.

Il coro non c’è a sostenere il canto dell’assemblea, mentre una sola voce – speriamo non troppo indiscreta – guida un canto soffocato che esce da una bocca che si muove scomposta.

Dall’altare si vedono occhi un po’ sperduti che si muovono a destra e a sinistra, uscendo dal volto mezzo velato, che ricorda quello di chi – per scelta o per convenienza – vuole dissimulare la sua identità.

Dall’ambone la bocca – strumento del Verbo – annaspa tra movimenti in su e in giù delle mani che cercano di liberarla perché possa annunziare la salvezza.

Le mani, quasi in automatico, cercano le monete ma… non si può, è vero! Solo alla fine della celebrazione… e mentre si offre il pane e il vino per il Sacrificio di salvezza, non resta che guardare senza potervi associare il sacrificium caritatis della Chiesa.

L’Agnello di Dio si spezza sull’altare ma, coloro che ne mangeranno per diventare un solo corpo e un solo spirito non hanno potuto ricevere né donare il dono della pace che – magari con forme un po’ scomposte – ogni domenica illumina di sguardi e di sorriso il volto di coloro che si conoscono e, in fondo, si vogliono bene.

Il Corpo di Cristo! Qualche prete lo fa “ammassare” in unum da tutti per non doverlo biascicare, ovattato dalla bocca coperta; qualcuno lo “carica” d’intensità perché si senta forte. I fedeli rispondono Amen, un po’ intimiditi dalle “manovre eucaristiche” che portano la mente altrove, perdendo la potenza di un gesto – manducare – che rende concreto l’invito a quella mensa celeste: Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno (Gv 6,54); gli anziani, il cui corpo è già segnato dalla debolezza, sostano, vacillano, mescolano – talora vittime di un incolpevole confusione – gesti un po’ disordinati, tentando di comporre la prudenza per la loro salute con la fede e l’autentico amore al Signore Gesù.

Qualcuno è turbato perché ama ricevere la santa Comunione in bocca ma sente dire che durante questo tempo non è prudente… E così la devozione – talvolta un po’ inquieta – inventa forme un po’ eccentriche che si frappongono tra il nostro corpo e il Corpo di Cristo: per non toccare, per non violare…

Noi però, siamo stati creati nel nostro corpo.

Siamo stati redenti dal Sacrificio di Cristo con il suo Corpo e il suo Sangue.

Siamo santificati dalla grazia che agisce attraverso il nostro corpo, immerso nelle acque del Battesimo, profumato dall’unzione dello Spirito, nutrito dal Pane della vita e dal Calice della salvezza.

Con pazienza e senza ingenuità accettiamo che il nostro corpo sia coperto, velato, usato parzialmente durante la liturgia di questo tempo: comprendiamo le ragioni prudenziali e straordinarie che ne motivano la scelta.

Se oggi è necessario lavare le mani, velare la bocca, occupare i posti con intelligenza e prudenza, coprire i santi doni eucaristici… potremmo farlo – allora – con proprietà, quasi ritualmente, con gesti carichi di forza antropologica, come se dovessero essere “assimilati” entro il linguaggio della liturgia: non mi igienizzo come fossi un operatore sanitario ma lavo le mani con atteggiamento composto, veritiero, vigoroso; con l’acqua, il sapone, l’asciugatoio, il ministro che mi assiste… Non proteggo patena e calice con la pellicola da frigorifero, ma adombro i santi doni lì contenuti con le coperture metalliche e gli oggetti della tradizione come la palla, il purificatoio… non metto i guanti per non toccare, ma velo le mani con sobrietà perché i guanti di cotone, bianchi come il nitore di tutto ciò che sta sull’altare, tocchino il Corpo del Salvatore, e dopo l’uso si possano lavare con cura senza il gesto mediocre e brutale di gettar via come pattume…

Anche i linguaggi di un’emergenza possono essere umanizzati e portati al cospetto di Dio!

Forse – tornati alla vita ordinaria – i gesti frettolosi del toccare, del coprire, del lavare, del velare potranno tornare a esser veri e pieni di quella santità che il celebrare i segni di Cristo pretende: anche il suo Corpo fu toccato, lavato con cura, unto di santi profumi; anche il suo volto fu velato; e il suo Corpo infine fu deposto, avvolto in un bianco sudario, amorevolmente nel sepolcro.

Di più… Non ne vale la pena.

don Gianandrea Di Donna, direttore Ufficio diocesano per la Liturgia