Dallo scontro all’incontro

Lettera diocesana_Sinodale_2022/10

Forse non tutti sanno che ai piedi del Monte Grappa, e precisamente a Crespano, c’è una realtà chiamata “Centro incontri con la natura don Paolo Chiavacci”. Questo nome ha come riferimento la parola incontro. Non è solo una sorta di desiderio, ovvero, far incontrare le persone con il creato e metterle in condizione di ammirarlo in tanti dei suoi aspetti e nel suo mistero. Anche questo, certo, ma non solo.

Per capire la parola nel suo profondo significato bisogna andare alla “cronaca” dell’iniziatore di quel Centro in origine chiamato: Casa don Bosco.

Paolo Chiavacci, classe 1916, figlio di una famiglia benestante di Crespano, come tenente degli alpini partecipa – ingenuo – nel 1940 alla guerra di Albania. Così, infatti, scrive nel suo diario: «con la baldanza e l’entusiasmo ardente di ogni giovane». Sarà una campagna sciagurata. L’iniziale avanzata degli italiani viene presto bloccata dall’esercito greco. Dopo uno scontro (ecco dove nascerà, poi, l’aspirazione opposta dell’incontro) sanguinoso vive una sorta di “conversione sulla via di Damasco”. A colpire il giovane tenente come scrive nel suo diario: «Maciullato da una granata, ai piedi di una roccia, con nel corpo ancor vivo l’ultimo spasimo della istantanea morte, stava un greco e presso di lui, a soli due passi, ancora aperto un libretto, tutto intriso del suo sangue, con il titolo ‘Sulla vanità».

Quell’immagine spalanca al giovane soldato un nuovo modo di vedere la vita, le cose, il mondo e lo porta a una profonda revisione. Scrive: «Capii finalmente d’aver percorso una errata via. Iniziò in me, senza quasi ne avessi percezione, un radicale mutamento. Dio mi prese per il bavaro e mi costrinse a pensare. Nel Suo amore per me, mi venne incontro». Ecco dove nasce la parola che dà senso al “Centro incontri con la natura don Paolo Chiavacci” che ora porta il nome di quell’ex alpino, entrato poi in seminario, grazie proprio a quell’incontro, e da lì missionario di ulteriori incontri.

Senza addentrarci nella sua affascinante biografia, possiamo dire che, dismessa la mimetica per la tonaca, don Paolo non smise il desiderio di combattere ma non più “contro” ma “per”.

Anticipatore della Laudato Si’ dedicò con la propria vita, e con le risorse che la famiglia gli aveva lasciato, perché quanti erano stati feriti dalla guerra mondiale e non solo, e tra questi soprattutto i giovani, potessero riconciliarsi nel corpo e nello spirito proprio in quella casa.

Dagli inizi degli anni ’50 a oggi quella realtà (chiamarla Casa è piuttosto riduttivo) non ha smesso di accogliere ogni tipologia di persona, dai bambini agli anziani che desidera, immergendosi nel fascino della natura, ritrovare un refolo di pace e una particolare conoscenza della “casa comune”.

Con gli anni e gli amici che si sono poi costituiti in associazione (Incontri con la natura), la Casa e le sue proposte sono cresciute. Esperti di vari ambiti scientifici hanno sostenuto don Paolo (e dopo di lui i vari direttori che si sono susseguiti) ad aprire il Centro all’osservazione delle stelle, dei prati e dei boschi, degli animali, delle pietre e di ogni altro dono di Dio. È nato così un importante osservatorio astronomico, un planetario, un orto botanico, un arboreto e un prato didattico, diversi plastici del Monte Grappa e via dicendo. Quanti desiderano conoscere la Casa Comune trovano aule a cielo aperto e persone non solo o non tanto esperte quanto innamorate del Creato e delle sue creature.

L’esperienza del lockdown, con il suo chiuderci in casa e limitarci nei movimenti, ha rivelato un “risveglio” della natura che nessuno poteva immaginare. Anatre che, indisturbate, con gli anatroccoli al seguito passeggiavano per le città; cinghiali e cerbiatti che scendevano in paese. Pareva di vivere in una sorta di eden fuori tempo. Il silenzio delle strade, poi, e la ridotta mobilità avevano ridato coraggio a tutti quegli esseri che per tanto (forse troppo) tempo avevano vissuto “in trincea”. Un po’ tutti ci siamo accorti di vivere in un ambiente popolato non solo da noi. Condividiamo questa terra con molte creature che, nascoste ai nostri occhi, nascono, gemono, cantano, si muovono, e sebbene le abbiamo studiate nei libri o viste su qualche dispositivo digitale, non possiamo dire di conoscerle veramente.

Per fortuna che ci sono ancora luoghi e uomini che ci aiutano a non temerle, ad ascoltare e ad andare loro incontro.

don Paolo Magoga, direttore Ufficio di Pastorale sociale e del lavoro della Diocesi di Treviso