Da vedere 2018/05

IL CIGNO NERO

di Darren Aronofsky
drammatico, 103’

A New York la ballerina classica Nina (che vive una situazione di sudditanza verso la madre, un’ex della danza) viene scelta dal direttore artistico Thomas per sostituire l’etoile Beth in vista dell’allestimento de Il lago dei cigni, apertura della stagione. Si tratta di un ruolo a doppia faccia: quella del cigno bianco, aggraziato e innocente, quella del cigno nero, astuto e sensuale. Per la prima, Nina è perfetta, per la seconda emergono durante le prove grosse difficoltà legate alle riserve mentali della ragazza verso il personaggio. Lily, la giovanissima ballerina scelta come riserva, si mostra più disponibile e priva di scrupoli. Per superare gli ostacoli Nina deve forzare se stessa, ma quando va in scena, il logorio fisico è tale da impedirle di arrivare felicemente alla fine.

Ogni storia incentrata sul balletto classico vive di alcuni punti fermi, che, proprio in quanto tali, diventano da subito il banco di prova della realizzazione. Muovendosi tra l’ideale della perfezione tecnica, l’arte assoluta, il sacrificio (sacro fare), la competizione spietata, la solitudine e la paura del fallimento, Aronofsky sguazza in una materia certamente non nuova: l’estetica del far vedere ciò che prima era possibile solo accennare. Così la reticente e pudica Nina diventa facile preda non solo del bel Thomas ma anche della disinibita Lily, che conduce la “collega” su nuove vie. Il manierismo patinato delle immagini va da una parte, l’insipienza dell’impianto psicologico dall’altra. Dal punto di vista pastorale, il film è da valutare come complesso e problematico (dal giudizio della Commissione nazionale valutazione film della CEI).


PRIMO AMORE 

di Matteo Garrone
drammatico, 93’

Nel vicentino, Vittorio, mentre manda avanti un laboratorio di orafo, insegue la personale ossessione di accompagnarsi con donne magre. Incontra Sonia, la osserva, la trova quasi “giusta”, e la invita a mettersi mentalmente nella prospettiva di scendere di peso fino a toccare e i 40 chili. La ragazza non rifiuta, e, trasferitasi con l’uomo nella nuova casa da lui acquistata, si sottopone a una serie di trattamenti finalizzati al dimagrimento. Col passare dei giorni però, Sonia avverte urgente la spinta a ribellarsi a quelle condizioni. In un ristorante, mentre Vittorio è andato a un altro tavolo a salutare alcuni amici, lei mangia la pasta che lui ha ordinato cercando di non farsi vedere. L’equilibrio a questo punto si rompe. Sonia non obbedisce più ma non sa fuggire. Vittorio è deluso per il proprio fallimento. Proseguire risulta inutile.

Matteo Garrone racconta una vicenda di amore assoluto, o meglio assolutizzato. Fin dal titolo, si può dire: perché Primo amore indica qualcosa che non c’è stato prima e che quindi ha la dimensione di un momento irripetibile. Il tema è difficile e certo anche rischioso. La tendenza al dimagrimento, nata da condizionamenti da società spettacolo, è ben presto degenerata nella convinzione che essere magri sia una forma di affermazione di sé, per la quale si fanno sacrifici assurdi che portano all’anoressia. Garrone però sfiora soltanto questa tematica per concentrarsi invece sui meccanismi della passione, questi ancora più difficili da capire e da spiegare. Il regista è bravo a collocare i passaggi del racconto in scansioni rigide e fredde, che non danno mai adito a compiacimenti. Il dramma (perché tale è) arriva a noi freddo e intatto nella sua assurdità. L’assenza di spiegazioni è solo in parte da attribuire a voglia di non capire, semmai Garrone rinuncia con troppa fretta a dare spazio alla “ragione” e alla misura dei sentimenti per cedere all’abisso dell’irrazionale. Film anomalo, non facile, anche scontroso, e, dal punto di vista pastorale, da valutare come discutibile, comunque problematico e adatto a dibattiti (dal giudizio della Commissione nazionale valutazione film della CEI).