Alla ricerca di un ritmo semplice tra casa e parrocchia

Il tempo è superiore allo spazio. Alzi la mano chi non ha citato almeno una volta papa Francesco in questi anni, traendo spunto dalle sue parole per elogiare i tempi lunghi, il valore dei processi lenti, la pazienza necessaria, lo sguardo che va oltre i risultati concreti di breve periodo. Questa sapienza nel concepire il tempo e le sue sfaccettature frana, almeno per me, di fronte all’agenda su Google, dove si incrociano più calendari tra famiglia, lavoro ed extra.

La sensazione di essere come una pallina arancione in una partita tra professionisti cinesi di ping pong si è attenuata nel lockdown, ma si ripresenta implacabile appena i tanti “voglio”, “bisogna” e “devo” prendono coraggio e si assembrano nonostante i divieti imposti dai miei Dpcm interiori.

L’impressione finale è, in mezzo al turbinio di cose, di essere fuori tempo. Mi pare che la sapienza del tempo dovrebbe essere l’esatto contrario: stare al tempo o, in altre parole, curare il ritmo. Ritmo che è fatto di battute forti e deboli, di pause e di vuoti. Per analogia la famiglia e la pratica di fede comunitaria sono due pezzi fondamentali (gran cassa e rullante ad esempio) della batteria della vita. Il ritmo però è uno solo. In questi tempi di dissonanze, di accelerazioni e frenate improvvise, forse vale la pena riprendere un ritmo più semplice, uno che funzioni senza tanti virtuosismi e che riesca ad alimentare il sound del Vangelo.

Giorgio Pusceddu