La malattia, la sofferenza, il dolore, la morte sono incroci della vita attraverso i quali tutti passiamo presto o tardi. Sono incroci di vita così significativi che spesso rappresentano anche delle opportunità di cambiamento, di svolte significative. A un incrocio ci si deve fermare, dare la precedenza e quando la strada è libera si può ripartire. L’esperienza del dolore e della malattia è un’esperienza che ti ferma. Ti costringe a uno stop. È il momento di una rivisitazione di vita e talvolta diventa anche l’occasione per risistemare delle priorità e talvolta capovolgere la scala di valori sui quali stavi costruendo la tua vita.
Ho in mente una delle messe celebrate prima di Natale nel reparto di oncologia. Eravamo in sala d’attesa, mentre preparavamo l’altare mi accorgo che tra le persone presenti c’è un giovane. Lo avvicino e gli chiedo se ha accompagnato il papà. No in realtà è il papà che ha accompagnato me, mi risponde. Rimango in silenzio e mi chiede se c’è la messa perché vorrebbe parteciparvi. «Anche se ritardo di venti minuti la terapia non cade il mondo» sottolinea con voce decisa e commossa.
Ecco cosa vuol dire che la malattia ti ferma, ti fa vedere la vita, e le scelte da prendere quotidianamente sotto un’ottica tutta nuova. Capisci che venti minuti sono niente ma possono diventare un incontro di eternità! E poi c’è da lasciare la precedenza. Questo significa che la persona è il valore centrale. La persona rimane tale anche quando sperimenta la malattia. Infatti, è sempre importante parlare di persone ammalate e non semplicemente ammalati. La cura della persona e l’attenzione ai suoi bisogni e a tutto quello che vive nell’esperienza della malattia è il centro di ogni cura anche medica e clinica. Nella malattia e nella sofferenza la persona riscopre le priorità della sua vita e il più delle volte è disposta a riformularle e stravolgerle.
Ho in mente una giovane mamma che nel letto di dolore ha voluto chiamare tutti i suoi fratelli, anche quelli che non vedeva da molto tempo e con i quali c’erano stati screzi nel passato. Mi diceva: «voglio morire con il cuore libero da tutto ciò che fino a questo momento ho ritenuto importante e ora non lo è più, meglio il perdono che la cattiveria o i continui dispetti!».
Infine c’è il via libera! A un incrocio quando si ha la strada libera si ingrana la marcia e si parte. Così è anche per la persona che sperimenta la malattia, la sofferenza, e il dolore. Si riparte rinnovati. Perché l’esperienza ti ha cambiato la vita e ti ha dato non solo la possibilità di rivisitare il passato e ricalibrare i valori ma talvolta permette anche di liberare il cuore da ciò che forse fino a quel momento ti ha pesato.
Penso a una signora avanti nell’età, ormai ai suoi ultimi giorni di vita. Una signora non molto anziana ma comunque avanti nell’età mi ha cercato mentre era ricoverata perché voleva confessarsi. Ha vissuto una bella riconciliazione liberante. Ha affidato al Signore dei pesi che si portava da una vita. Ha pianto molto e alla fine dopo aver ricevuto l’assoluzione ha detto: «Sono felice! Muoio contenta perché adesso so che c’è un Dio che mi ama!».
In questi incroci di vita la Chiesa è presente! Si fa compagna di strada e ti aiuta a viverli e ad attraversarli con la vicinanza e la presenza di persone mandate a svolgere proprio questo servizio. È un servizio di amicizia, di presenza, di accompagnamento. La cappellania dell’Ospedale Madre Teresa di Calcutta è un’équipe di 14 membri: due sacerdoti, una suora e il resto sono persone laiche, anche coppie di giovani sposi, che donano del loro tempo libero a questa missione. Come équipe abbiamo ricevuto un mandato del vescovo e svolgiamo il nostro servizio principalmente come amici che si affiancano alle persone ammalate per un saluto, un sorriso, una preghiera insieme, e soprattutto per portare Gesù. Ogni tre mesi ci ritroviamo per un incontro di programmazione o semplicemente per raccontarci come stiamo vivendo il servizio. Ci siamo organizzati la visita nei vari reparti il mercoledì e giovedì mattina dividendoci il piano medico e quello chirurgico, mentre la domenica (o il sabato, a seconda degli impegni di ciascuno), in tutti i reparti. La visita è sempre un momento intenso, bello e impegnativo. Le persone ammalate richiedono tanta energia fisica e anche interiore per questo prima di partire nei reparti si pregano le lodi del giorno assieme. La forza interiore la riceviamo da Colui che portiamo agli altri. L’assistenza religiosa con la costituzione della cappellania, in questi ultimi anni è molto cambiata. Non è più solo di un singolo prete ma di un gruppo di persone, soprattutto laici che insieme svolgono questo delicato ministero. Inoltre è un servizio che non si limita a portare l’Eucaristia ma abbisogna sempre di più di dialogo, di relazione, di amicizia, di vicinanza. Ogni persona arriva in ospedale con la sua storia e va rispettata e accolta così com’è, senza avere come principale preoccupazione dover amministrare a tutti e a ogni costo un sacramento. Ci sarebbero molte cose da raccontare sulla vita all’interno di un ospedale. Ci vorrebbero pagine intere per mostrare quanta grazia accade anche dentro le mura di una struttura che spesso ci spaventa o comunque di inquieta. Ma non è questo il momento per dilungarsi, piuttosto se abbiamo un ospedale vicino casa o nel territorio non abbiate paura di frequentarlo anche se non si è persone ammalate. Scoprirete che è una scuola di vita ordinariamente straordinaria. Anche il rapporto con il personale medico, infermieristico, sanitario e amministrativo è un terreno fertile per poter in ogni occasione annunciare il Vangelo più che con le parole, con la vita e a volte anche semplicemente con l’ascolto e l’amicizia.
don Marco Galante, cappellano ospedali riuniti sud Madre Teresa di Calcutta