La Chiesa dalle genti possiede un’innata vocazione profetica. È chiamata a dare visibilità, dentro i suoi luoghi e le sue realtà, al futuro di pace e di incontro tra le diversità verso il quale l’umanità e il mondo tendono sin dalla loro creazione. Un compito di particolare rilievo e responsabilità oggi, immersi come siamo in un tempo che sta conoscendo l’immigrazione come fenomeno epocale e non transitorio. I mutamenti che toccano la nostra cultura e la nostra società fin nelle sue fondamenta chiedono ai cristiani di sviluppare una risposta spirituale e culturale – di atteggiamento, sguardo, sensibilità – e non meramente istituzionale e organizzativa.
Ovvero: dentro un’arena pubblica che ha fatto del tema dei migranti il capro espiatorio e la cortina fumogena in grado di mascherare le debolezze e la non sostenibilità dei nostri attuali stili di vita, esibire la possibilità di un’alternativa: si può vivere il cambiamento innescato dall’accelerazione delle migrazioni come l’occasione per declinare in termini nuovi la nostra identità tradizionale. Non più l’assioma “noi con la nostra identità” contro “un’immigrazione che ci contamina e cancella il nostro futuro”, quanto piuttosto “con noi” “ogni persona che abita questa terra” – da maggiore o minore tempo –, per osare sintesi nuove, accettando di lasciarsi coinvolgere dentro il mutamento in atto. Di fronte al cambiamento non chiediamo soltanto agli altri di cambiare, ma accettiamo di metterci in gioco in prima persona. In questo modo diamo la possibilità alla nostra fede cristiana, alla nostra identità ambrosiana, di sprigionare le sue energie migliori nella costruzione di sintesi nuove.
Non basta essere Chiesa “delle” genti. Ovvero immaginarsi come un luogo in cui ognuno può sì trovare il proprio spazio, ma senza per questo sentirsi coinvolto nel processo di costruzione del “noi” che fa da pilastro alle nostre identità. Non basta essere una Chiesa accogliente, che immagina tante forme e pratiche “per” o “a favore” dell’altro, il quale però rimane sempre confinato nella sua alterità. Non basta “fare per”; occorre imparare a “essere con”. Riconoscere la diocesi ambrosiana come Chiesa “dalle” genti è il nostro modo di vivere e consegnare alle nuove generazioni quella tradizione di fede che ci fa vivere, che ci ha fatto conoscere e incontrare Dio come il Padre di Gesù Cristo e il Padre nostro; quel Padre grazie al quale sperimentiamo una nuova fraternità, più forte della carne e del sangue, generata dal suo Spirito, che ci riempie di gioia e ci permette di trasformare in modo nuovo il quotidiano e la storia che viviamo, donandoci una nuova identità.
È incredibilmente attuale l’intuizione dell’allora arcivescovo di Milano, il card. Montini. Al suo ultimo discorso alla città, nella festa di sant’Ambrogio del 1962, aggiungeva queste note:
«Che sant’Ambrogio amasse Milano tutta la sua opera pastorale lo dice. Trovò una città che da oscuro municipio romano, nei primi secoli dell’Impero, era diventata nel terzo secolo una delle più importanti dell’Occidente. Ma era pur sempre una città di quel tempo, piccola, modesta, disuguale […]. La popolazione era quanto mai eterogenea: su lo strato di popolazione indigena, insubro-celto-ligure, dai costumi semplici e agresti, di gente intelligente ma piuttosto rustica e paesana, correnti etniche di ogni provenienza s’erano distese. E sotto l’aspetto religioso, analoga confusione. La maggioranza degli abitanti non era ancora battezzata. I molti pagani erano ormai indifferenti verso gli antichi dei, e attendevano pigramente, abbandonati e rilassati costumi, d’essere chiamati al cristianesimo. I cristiani avevano invece di già una buona vitalità spirituale, ma l’eresia ariana aveva subito turbato e diviso la comunità cristiana: sarà in questo stato di cose che l’azione pastorale dovrà svolgersi e dare saggi di tale splendore da imprimere nella città uno spirito nuovo, e da produrre, nel seguito dei tempi, una vera e caratteristica tradizione religiosa e spirituale, tanto da giustificare il riconoscimento datole da uno scrittore moderno: fu sant’Ambrogio a creare i milanesi».
Una Chiesa dalle genti, una Chiesa maggiormente consapevole della propria cattolicità: grazie al processo sinodale attivato la Diocesi ha maturato strumenti per leggere e abitare con maggiore spessore e profondità l’attuale momento di forte trasformazione sociale e culturale. Milano, Chiesa dalle genti: una Chiesa in sinodo che ha inteso vivere questo cammino proprio per restare fedele alla sua identità ambrosiana. Come ai tempi di sant’Ambrogio, in continuità con il suo spirito.
Mons. Luca Bressan, vicario episcopale per la cultura, la carità, la missione e l’azione sociale della Chiesa di Milano