Da ormai più di due anni sono coinvolta nel cammino sinodale della Chiesa di Padova. Dapprima nella Commissione preparatoria e da maggio del 2022 nella Presidenza del Sinodo. È la prima esperienza per me di un servizio così intenso alla Chiesa diocesana.
Quando mi è stata chiesta la disponibilità ho risposto subito di sì, un po’ per la mia natura – faccio fatica a dire dei no – ma anche perché mi aveva colpito il dialogo con un amico, al quale avevano chiesto un analogo servizio, e che aveva risposto che “alla Chiesa non si può dire di no”. Mi è sembrata al momento una motivazione assolutamente convincente.
Dopo più di due anni di questa esperienza mi pare di avere iniziato a comprendere perché proprio quando la Chiesa chiede non si può dire di no.
Innanzitutto mi sono sorpresa a pensare che quando la Chiesa ti chiama, è il Signore Gesù che chiede di te, e avere intuito un invito particolare mi riempie di gratitudine: sono stata chiamata!
A cascata da qui sono arrivati molti altri doni.
In questi due anni ho potuto conoscere la nostra Chiesa di Padova, la sua ricchezza di fede, di carità, di speranza; preti, religiosi, laici, giovani e meno giovani, vite cambiate dall’incontro con il Signore Gesù in tante forme, carismi diversi, in cammino. Ho visto che la nostra Chiesa – magari più piccola di un tempo, affaticata in molti sensi – è viva, come ha riconosciuto Benedetto XVI nel suo ultimo discorso da Pontefice.
Mi sono sentita accolta da questa Chiesa e sono grata di potere essere al suo servizio accanto al nostro vescovo Claudio, ai suoi vicari, agli altri cari amici della Presidenza.
Ho imparato a domandare l’intervento dello Spirito Santo; mi interrogo ancora molto su che cosa significhi assecondare la sua azione da parte mia. Ho potuto vedere che lo Spirito suscita sempre, in ogni tempo e luogo, la possibilità per l’uomo di rapporto con Cristo. In un incontro di preparazione alle assemblee sinodali ci è stato detto che l’azione dello Spirito si riconosce dal fatto che il lavoro insieme genera relazione e unità: ho visto accadere questo più di qualche volta.
Il compito di questi mesi – a tratti impegnativo – mi ha costretta a riandare alla mia Galilea, come ci chiede papa Francesco, ovvero a riscoprire il dono che ho ricevuto e a non darlo per scontato; mi ha reso inevitabile prendere più sul serio il mio bisogno di compimento, di essere felice in tutte le circostanze della mia vita – il lavoro, la famiglia – e aderire con serietà a quel pezzo di Chiesa nella quale il Signore mi ha messa e si rende presente a me.
Ho anche riscoperto che non si può crescere nella fede da soli, la comunità cristiana alla quale siamo consegnati è indispensabile.
Ho avuto il dono di tante amicizie, nuove oppure vecchie, ma rinnovate. Credo che questa sia l’esperienza di molti che a vario titolo partecipano a questo cammino che, a mio avviso, è già esso stesso un grande regalo per la nostra Chiesa; ci ha messi in relazione gli uni con gli altri e alzato lo sguardo verso il Signore Gesù.
La gratitudine e lo stupore nel vedere le piccole cose che il Signore fa accadere con questa mia disponibilità vanno di pari passo con il riconoscimento della mia fragilità e del limite che mi è apparso ben evidente in moltissimi frangenti durante questo periodo. Direi che anche questo è un dono, per non rischiare di credere di stare in piedi da soli, e occasione per domandare.
Francesca Bassi, membro della Presidenza del Sinodo diocesano