BIAGIO
di Paquale Scimeca
drammatico, 90 min
Nella Palermo contemporanea, Biagio Conte lascia una famiglia benestante (genitori e sorella) per cominciare dal basso una nuova vita. Dapprima si rifugia sulle montagne, conosce il pastore Rosario con il figlio Salvatore, con loro impara ad accudire le pecore e a vivere con poco. Affrontati e superati momenti di forte crisi, Biagio sente di dover continuare la propria ricerca all’interno della città. Rientra dunque a Palermo, comincia a frequentare tutte quelle zone nelle quali il degrado e l’abbandono sociale sono più evidenti. Fonda la “Missione Speranza e Carità” che assiste poveri e bisognosi e ancora oggi, a distanza di quasi venti anni, coinvolge uomini e donne di ogni ceto sociale.
Biagio Conte è figura vera, uomo come noi e tra noi che a un certo punto ha voluto provare a dare un senso differente alle situazioni di disagio che vedeva intorno a sé. Andare incontro ai bisognosi per aiutarli nelle loro sofferenze: talvolta nate come risultato di problemi non meramente economici ma interiori, di ansia esistenziale. Biagio si fa portavoce di una ricerca spirituale che cerca la presenza di Dio attraverso la mediazione di Francesco. Il cammino, il contatto con la natura, la sosta per dialogare e scambiare in comune un pezzo di pane; e poi lo sguardo in alto a cercare un segno, un contatto, una risposta; l’intenzione di affidarsi a Cristo, di sentirlo e vederlo in ogni essere umano che soffre, che arranca nel mare della vita. Scimeca lo dice con sincerità: «Io, purtroppo, non ho ancora il dono della fede, ma una cosa è certa: i giorni passati alla Missione in compagnia di Biagio hanno cambiato la mia vita». Questa generosa ansia di ricerca, da niente obbligata, priva di orpelli devozionali o agiografici, emerge dal racconto, illuminato da una regia diretta, intensa, addolcita da una semplicità scoperta e indifesa. Un film spoglio e nudo come Francesco che, dal punto di vista pastorale, è da valutare come consigliabile, problematico e adatto per dibattiti (dal giudizio della Commissione nazionale valutazione film CEI).
L’EQUILIBRIO
di Vincenzo Marra
drammatico, 90min
Un piccolo paese del napoletano, una zona nota come la terra dei fuochi. Qui arriva don Giuseppe, sacerdote già missionario in Africa e ora, dopo un periodo di crisi, intenzionato a riprendere il proprio cammino di fede al servizio di una nuova comunità. Don Giuseppe prende il posto di don Antonio, parroco precedente, che era entrato in forte sintonia con tutti gli abitanti, per la sua capacità di parlare schiettamente anche di argomenti delicati come quello dei rifiuti tossici…
Legato a un cinema dalla forte impronta realistica, Vincenzo Marra si confronta in questa nuova opera con la cronaca, quella più aspra e scostante, quella che non è tanto agevole affrontare perché mette in gioco scelte difficili e impopolari. Tanto più se, come in questo caso, al centro della vicenda ci sono due sacerdoti impegnati nel proprio ministero. Alla domanda se queste due figure di preti coraggiosi siano ispirati a figure reali, Marra risponde: «No, rappresentano però la sintesi di diversi personaggi della cronaca, proprio come la storia che racconto. Anche il quartiere in cui ho girato, e che evito di nominare per non far torto alle tantissime persone perbene che vi abitano, è il simbolo del degrado di una zona d’Italia che si trova ad appena un’ora e 40 da Roma». Quello della malavita organizzata nelle zone di degrado e quello della presenza/assenza delle istituzioni in contesti nei quali finiscono per imporsi ed essere accettate leggi non scritte porta direttamente alla domanda sul perché Marra abbia deciso di rendere i due preti protagonisti della vicenda. «Da tempo – dice – desideravo girare un film “cristologico”, basato su un cammino spirituale. Avevo pensato a un documentario su un prete di frontiera nella terra della camorra, ma ho dovuto rinunciare perché ci hanno fatto capire che non ci volevano e sarebbe stato pericoloso per la troupe». Da questi interventi si ha più chiara l’idea di quanto il film entri con piena coerenza all’interno di un vicenda difficile. La rinuncia finale di don Giuseppe non è un’ammissione di fallimento ma la consapevolezza che altri strumenti sono necessari, oltre alla preghiera e al perdono, per vincere la dura scorza del cuore di certe persone. Dal punto di vista pastorale, il film è da valutare come complesso, problematico e adatto per dibattiti (dal giudizio della Commissione nazionale valutazione film CEI).
L’ULTIMA CIMA
di Juan Manuel Cotelo
documentario, 82 min
Pablo Dominguez Prieto, sacerdote e professore di filosofia e teologia all’università di San Damaso, è molto conosciuto e seguito con amore e benevolenza da tantissimi credenti. Appassionato di montagna, muore in un incidente durante una arrampicata sul Moncayo, unica vetta dei Pirenei che non aveva ancora scalato. Con lui muore anche Sara Gomez, alpinista e insegnante.
Una figura esemplare, un sacerdote e, si dovrebbe aggiungere, un uomo, ossia portato a trasmettere un’umanità concreta, fatta di gesti quotidiani, di una dialettica al servizio degli altri. Il copione è tutto incentrato sulla figura di don Pablo, la cui presenza, oltre a sporadiche immagini, è ricordata da amici, colleghi, allievi e ricostruita da chi ha vissuto e lavorato con lui. Una voce fa da collegamento. L’operazione è affidata a un’intensità di emozioni crescenti. Le testimonianze sono numerose e incisive. Forse l’incalzare di belle parole, di episodi edificanti, di azioni esemplari invita a ripensare qualcosa sotto il profilo del montaggio dei materiali. Ma il risultato è di nobile livello, la figura di don Pablo resta nella mente di chi lo ha conosciuto e entra nel cuore di chi lo vede per la prima volta. Un esempio di lavoro che mette insieme spiritualità, cronaca, storia al servizio di un pubblico il più vasto possibile. Dal punto di vista pastorale, il film è da valutare come consigliabile, problematico e adatto per dibattiti (dal giudizio della Commissione nazionale valutazione film CEI).