Il servizio che l’insegnante di religione cattolica (IdR) svolge nella scuola ha una natura e una finalità culturali, che esigono una precisa professionalità docente, ricca di umanità, di formazione appropriata e di forte passione educativa. C’è tuttavia un aspetto peculiare dell’identità dell’IdR, che, a volte, è dato per scontato e che invece risulta alla lunga il più decisivo per dare significato e valore alla sua funzione docente. Riguarda non tanto il sapere e il saper fare, ma l’aver ricevuto un esplicito “mandato” da parte della Chiesa: tale mandato è parte integrante della sua coscienza professionale specifica. Con questa espressione, intendo riferirmi alla dimensione vocazionale che certamente è propria di ogni docente che ispiri il suo lavoro alla fede in Cristo e ai valori del Vangelo, ma che per l’IdR acquista un tono e uno spessore particolari: la disciplina che insegna non può che riferirsi costantemente al depositum fidei, che diventa per lui oggetto di studio, di conoscenza e di trasmissione e prima ancora pratica di vita. In fondo è questo il significato dei criteri della “retta dottrina e della testimonianza di vita cristiana” che si accompagnano all’“abilità pedagogica”, in base ai quali un candidato è riconosciuto dall’ordinario diocesano idoneo all’insegnamento della religione.
A questo aspetto “vocazionale”, si affianca l’altro – altrettanto decisivo – della ministerialità ecclesiale, di cui è intriso l’essere del docente di religione. Ministerialità dice riferimento alla Chiesa locale e al vescovo da cui l’IdR ha ricevuto l’incarico attraverso lo strumento dell’idoneità. L’idoneità non è un dato acquisito una volta per tutte, bensì un processo, un cammino, che non si chiude con il decreto ed il certificato che la riconosce, ma permane come fattore di comunione da cui il docente può trarre elementi di un costante stimolo e rinnovamento nel dialogo ecclesiale e nel sentirsi unito a quella comunità da cui trae la ragione stessa del suo essere docente di religione. C’è un ambiente vitale, entro cui il docente si è formato, che deve continuare a dare i suoi frutti anche durante la docenza e deve irrobustirsi attraverso modi e forme sempre più concreti di interscambio di doni, anche spirituali oltre che pastorali. Quando parlo di Chiesa, mi riferisco non solo alla diocesi, ma anche alla comunità territoriale dove il docente esercita il suo servizio o alla quale appartiene. Il docente di religione è chiamato a “servire” il raccordo tra la scuola e le altre realtà educative che interagiscono con essa, in primo luogo proprio la famiglia e la parrocchia, tessendo quel patto educativo che guarda alla crescita integrale dell’alunno.
Gigliola Volpato, insegnante di religione