Qualche settimana fa, in Ufficio di Pastorale dei Giovani, abbiamo avuto uno scambio con un ragazzo. “Io non farei mai la professione di fede”, ci diceva convinto e sereno, “perché non ne vedo il senso e l’utilità”. E ancora: “Non ho bisogno di dire pubblicamente che credo per essere cristiano, anzi è meglio non dire niente e fare del bene piuttosto che sbandierare la propria fede e poi non far niente per gli altri”. Chiameremo questo amico Gianni.
Gianni su un punto ha ragione: la professione di fede non serve per dimostrare di aver raggiunto una fantomatica serie A dei cristiani, se fosse percepita così sarebbe addirittura pericolosa.
Non è nemmeno una prova in stile carboni ardenti per dimostrare il coraggio o la forza di chi la fa, e neppure un pedaggio per ottenere chissà quali privilegi o rendite materiali o spirituali.
Per provare a spiegarla a Gianni abbiamo usato due immagini.
Una foto. La professione di fede è come la foto scattata in una sosta dopo una camminata importante in alta montagna. Da un punto in cui si vede un paesaggio mozzafiato che, per la potenza e la bellezza che regala, fa nascere un desiderio di condivisione. Guarda che meraviglia!
Un’ancora. La professione di fede è come un’ancora in una traversata lunga, su un mare tutt’altro che piatto e tranquillo. È l’ancora che regala un tempo di consapevolezza sul tragitto percorso (rischi, doni, successi, fallimenti), sullo stato della navigazione, sulle sfide all’orizzonte.
Ha perciò tanti possibili effetti: per chi si prepara a farla è un’occasione di lavoro su di sé, per far memoria e per “fissare” una pagina della propria autobiografia esplicitando il credo incarnato nella propria esistenza. Il fatto che sia pubblica, davanti a una comunità, è un segno forte per sottolineare che la fede non è una vicenda solo personale: è generata e costellata da una miriade di relazioni senza la quale non esisterebbe. Perciò ha anche il sapore della restituzione (traditio) di un regalo ricevuto da altri, un saper dire grazie. Infine è una testimonianza di vita, è uno stimolo per chi la ascolta a iniziare/continuare un cammino per incontrare il Signore Gesù vivo che rinnova la vita.
Non abbiamo convinto Gianni. Probabilmente i nostri argomenti lo hanno toccato poco.
Ma è proprio per ragazzi e ragazze come lui che abbiamo deciso di costruire la Veglia dei Giovani 2022 (sarà lunedì 21 novembre) per dare un segno di concretezza al Simbolo.
Nel mese di maggio 2022 abbiamo scritto a tutti i parroci della Diocesi e ai membri del Consiglio pastorale diocesano per chiedere di segnalarci uno o più giovani maggiorenni (18-35enni) della propria comunità sufficientemente maturi per testimoniare la fede. Pensiamo a dei giovani che sono già in cammino nella loro vita cristiana, in una relazione viva con il Signore Gesù, espressa anche dalla preghiera, dall’ascolto della Parola di Dio e dai sacramenti e che partecipano in maniera attiva alla vita della comunità cristiana, anche tramite un servizio educativo-catechetico, liturgico o caritativo. Per dettagli: giovanipadova.it/simbolo/
Vorremmo regalare loro un momento di preparazione personale, nella forma di una rilettura autobiografica del proprio rapporto con il Signore, per arrivare poi, per chi vorrà dare disponibilità, alla scelta di raccontare pubblicamente la propria professione di fede. La Veglia dei Giovani 2022 conterrà questo dono come segno del possibile: è possibile come comunità generare alla fede, è possibile incontrare personalmente il Signore, è possibile riconoscerlo e seguirlo come persona viva anche oggi, da giovani.
Giorgio Pusceddu, Ufficio di Pastorale dei Giovani