Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù¹, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!». (Gv 20,26-29).
Ricordo – portavo ancora i calzoni corti – le campane della Domenica suonare a distesa…
La mia parrocchia.
La festa di Gesù, oggi posso aggiungere del Signore risorto.
Ricordo così ogni ordinaria domenica!
Non c’era molto altro – oltre all’Eucaristia, la santa messa dicevamo – ma sembrava davvero tutto.
Riempiva tutto, come il suono un po’ sgraziato di quelle vecchie campane che martellavano in sacrestia ogni ora per chiamare alla messa…
Tutto era pieno, così, di quel giorno santo.
Lo ricordo proprio così, forte.
Chiamava tutti.
Chiamava, attraendo.
Chiamava, unendo.
Chiamava, rivelando la Chiesa, oggi posso aggiungere l’invisibile mistero del Corpo mistico di Gesù Cristo, il Tempio della sua gloria.
L’ho cominciato a percepire così.
E resta, non se ne va dall’anima… grazie a Dio!
Nessun tempo dell’Anno liturgico dovrebbe avere l’appellativo di forte: questa aggettivazione – priva di un autentico fondamento teologico – fece la sua fortuna apparendo (quasi ex abrupto) sul dorso del Lezionario feriale della Conferenza Episcopale Italiana per l’Avvento-Natale e la Quaresima-Pasqua. Nei confronti di questi tempi liturgici (quelli con valenza “preparatoria”, come l’Avvento o la Quaresima) si scatenò, nel corso dell’epoca immediatamente post Conciliare, una sorta di furore spirituale, interpretando la loro funzione come necessaria a “preparare la Pasqua”, a “preparare il Natale”; tempi molto importanti… i tempi delle “iniziative formative”…
Battezzati questi “tempi” come dei tempi forti, dei tempi preparatori (Avvento-Quaresima) o dei tempi celebrativi dei misteri di Cristo (Natale-Pasqua), essi si sono presi (e rischiano di farlo ancora) la parte del leone, lasciando – come conseguenza non prevista – che il resto del tempo liturgico declassasse a Tempo [solo] ordinario… Si potrebbe dire: normale, quello delle domeniche normali, quasi… roba da poco!
Se i martiri di Abitene[1] ebbero a difendere il giorno del Signore, il Dies dominicus, contro le invettive di Diocleziano (303-304); se la Chiesa tutta per i primi tre secoli non fece che celebrare un circulus anni, scandendo di domenica in domenica l’ottavo giorno (cfr. Gv 20,26), memoria della Pasqua settimanale: ciò significa che attorno a questo “giorno del Signore”, a questo tempo – apparentemente – normale, non è pensabile una frettolosa liquidazione del tutto sotto le spoglie dell’ordinarietà: così, infatti, rischierebbe di apparire un tempo poco rilevante, ordinario appunto, quasi – ecco la tentazione – un tempo debole in opposizione a quello forte.
Parlare di un Tempo tra l’Anno – il Tempus per Annum come lo definisce la bella locuzione latina – significa ricalibrare tutta la Chiesa attorno alla Pasqua del Signore Gesù. La vita della Chiesa è infatti una circolazione dinamica: non sono le cinquantaquattro settimane di un anno a valer in se stesse qualcosa o a offrirci una serie di episodi evangelici da cui trarre semplicemente qualche pia esortazione. Il ritmo scandito dal Tempo tra l’Anno è lo scadenzarsi della Pasqua del Signore che torna, con forza inesorabile, a presentarsi come l’unica speranza dell’uomo, come la notizia-buona (euagghélion) da portare all’uomo di sempre, alla storia, ai poveri e ai tribolati.
Il Tempo tra l’Anno è allora un tempo originario e puro, perché è il tempo del Risorto; è pertanto semplicissimo, sta all’origine di tutto, si nutre di ciò che non può conoscere contaminazione o logoramento. Resta disadorno, con poche velleità, desideroso solo di parlare del Signore; ci affascina come il profumo soave degli aromi portati al sepolcro dalla donne (cfr. Lc 24,1); racconta l’essenziale allo spuntare dell’alba: «Non è qui, è risorto» (Lc 24,6), in un tempo che invece continua a urlare molte parole. E se il Tempo tra l’Anno ci sembrasse troppo normale ciò è un buon segno: magari i nostri ragazzi imparassero a sentire fin dentro l’anima il rintocco delle campane che ogni ordinaria domenica martellano – un po’ sgraziate forse – la Pasqua del Signore Gesù!
Ho proprio il desiderio di cose ordinarie, quelle che tornano tutto l’Anno: la messa, il Vangelo, i ministranti, i lettori, il coro, l’organo, l’incenso, la croce, le candele, l’acqua e il vino, la Comunione, il sacrestano che raccoglie le offerte, i poveri fuori dalla porta, le tovaglie pulite e i fiori profumati, il saluto del mio parroco, le catechiste indaffarate, la casula più bella (quella della domenica) la candele – quelle di cera – che brillano dinanzi alla Madre di Dio, i cestoni per i poveri in fondo alla chiesa, e le mie vecchie campane, un po’ sgraziate, che ordinariamente mi dicono che il Signore è risorto!
don Gianandrea Di Donna, Ufficio diocesano per la Liturgia
[1] Il martire Emerito, dopo aver ospitato in casa sua i cristiani per la celebrazione, viene interrogato dal proconsole: «Perché hai accolto nella tua casa i cristiani, contravvenendo così alle disposizioni imperiali?». La risposta di Emerito: «Sine dominico non possumus»; non possiamo, cioè, né essere né tanto meno vivere da cristiani senza riunirci la domenica per celebrare l’Eucaristia.