I dati alla mano circa la presenza di giovani tra i 18 e i 30 anni, impegnati in un cammino formativo associativo (Azione cattolica, scoutismo, altre associazioni o movimenti,…) o nei gruppi parrocchiali, sono abbastanza impietosi: poco più del 2%. E si tratta di stime precedenti l’ondata pandemica, che ha sicuramente accelerato i processi. Se i numeri parlano chiaro, la domanda che rimbalza su noi adulti che abbiamo fatto la scelta di credere e di giocare la nostra vita sul Vangelo di Gesù riguarda la nostra capacità di trasmettere agli adolescenti e ai pochi giovani over 18 presenti in parrocchia – magari come educatori – che davvero la fede è il regalo più grande che abbiamo scoperto nella nostra vita, che il Vangelo dà senso e sapore alle nostre giornate. E che lo scopo della nostra presenza, delle nostre parrocchie, di quello che facciamo è creare le condizioni perché anche le nuove generazioni scoprano questo tesoro, incontrando personalmente Gesù e scegliendo il Vangelo come faro per la vita.
Le Linee progettuali della Pastorale giovanile per la nostra Chiesa diocesana non sono da questo punto di vista qualcosa di assolutamente innovativo, o meglio sono nuove nella misura in cui stimolano le comunità degli adulti a prendere in mano la questione della fede personale e della testimonianza cristiana nei confronti delle nuove generazioni. Sono nuove perché non offrono delle schede per condurre i gruppi giovani ma perché chiedono un cambio di paradigma rispetto al modo tradizionale di fare pastorale giovanile: primo perché si pone l’accento su un percorso personalizzato e sulla cura della relazione a tu per tu con il giovane, rispetto al classico modello del “gruppo giovani”; secondo perché si mette al centro la questione della fede e di un cammino spirituale che non arriva come ultimo “argomento” di un percorso formativo spesso sbilanciato su altri versanti, come se la fede non fosse pervasiva a ogni ambito della vita; terzo perché queste Linee progettuali presuppongono una sinfonia di figure adulte accanto al giovane (il testimone adulto laico o consacrato, l’accompagnatore spirituale, il parroco…), che annunciano un passaggio radicale da una pastorale giovanile delegata ad alcuni – un tempo il prete giovane – a una pastorale giovanile assunta dalla comunità cristiana.
Il Simbolo, la professione di fede, è in questa prospettiva la conclusione di un percorso, primariamente personale e poi anche di gruppo, di riappropiazione e di (ri)scelta della fede, di un sì libero e consapevole alla proposta del Vangelo, di appartenenza alla Chiesa in una comunità cristiana, con la speranza che i giovani diventino a loro volta testimoni e missionari verso i loro coetanei della buona notizia che ha raggiunto la loro vita.
don Paolo Zaramella, direttore dell’Ufficio di Pastorale dei Giovani