Tra i molti temi del Sinodo diocesano quello del contributo che le associazioni possono dare alla vita della Chiesa di Padova non è stato declinato come voce a sé stante; ciò non significa, tuttavia, che la riflessione sulle potenzialità e sfide attuali dell’apostolato organizzato sia di importanza secondaria rispetto al discernimento in atto, che anzi riguarda esplicitamente la testimonianza dei fedeli laici, l’impegno dei battezzati nel campo aperto del mondo, l’edificazione delle comunità cristiane, i ministeri laicali, le priorità pastorali e la formazione dei giovani e degli adulti.
Anche la sintesi nazionale del cammino sinodale delle Chiese in Italia parla delle associazioni come
«luoghi di educazione alla corresponsabilità ed esperienze preziose per l’evangelizzazione» che «rappresentano un patrimonio formativo che, se adeguatamente coltivato, consente alle comunità di accompagnare la crescita in umanità e nella fede delle persone, nelle diverse età e condizioni di vita, nel dialogo intergenerazionale e nel sostegno alla dimensione vocazionale».
Per evitare considerazioni generiche farò riferimento nelle righe che seguono all’Azione cattolica: la scelta di analizzare una realtà specifica non vuole però togliere nulla al bene costituito da altre associazioni, in particolare da quelle che animano il mondo del lavoro, dello sport e dei circoli parrocchiali, e di quelle che fanno riferimento al mondo dello scoutismo. Peraltro molte delle considerazioni che seguono possono essere applicate anche ad altre associazioni. Credo però che sia utile, almeno per questi pochi paragrafi, indicare l’associazione con il suo nome proprio, preferendolo al termine generico spesso utilizzato di “associazioni e movimenti” che rischia sfumare fino a rendere non più riconoscibili i doni che lo Spirito ha seminato in ciascuna realtà per il bene di tutti.
Una prima sfida per l’Ac è vincere, attraverso una concreta pratica di fraternità, il rischio del funzionalismo: l’essere associazione offre già una rete di relazioni, un ambiente in cui la ricerca di vita e l’azione a favore degli altri tendono a non avvenire “in solitaria”, eppure può capitare che il servizio perda la sua dimensione gioiosa, o che i necessari passaggi organizzativi scadano in approcci “burocratici”. A questo proposito papa Francesco, parlando nell’aprile 2021 ai membri dell’assemblea nazionale, ha invitato l’associazione a non cadere nel tranello degli organigrammi: «I programmi, gli organigrammi servono, ma come punto di partenza, come ispirazione; quello che porta avanti il Regno di Dio è la docilità allo Spirito».
Il rischio del funzionalismo, peraltro, può riguardare il modo in cui le parrocchie concepiscono l’Ac, vista talvolta come “gruppo-strumento che fa qualcosa” piuttosto che come membro di un corpo (cfr 1Cor 12): in effetti se si intende l’associazione come un attrezzo è legittimo gettarla via una volta che esso diviene poco funzionante, o anche semplicemente fuori moda; se invece si comprende che essa è tessuto vivo dell’organismo parrocchiale ed ecclesiale non le si potrà dire “non ho bisogno di te”, né si potrà ridurre tutto il corpo a un membro solo. E, addirittura, se anche l’Ac dicesse di non appartenere al “corpo” della parrocchia non per questo non farebbe parte, e saremmo chiamati a prendercene maggiormente cura, come delle membra più deboli.
Un secondo aspetto chiave riguarda il vivere appieno il dono della laicità. Per le donne e gli uomini coinvolti nei cammini dell’associazione questo significa continuare a incontrare una proposta che porti unità tra aspetti della nostra vita apparentemente alternativi l’uno all’altro, o in tensione: vita di fede e quotidianità, lavoro e Vangelo, mondo e Chiesa. Piuttosto che offrire dei momenti di pausa in cui “uscire/fuggire” dalle domande che abitano il nostro cuore l’Ac proponga esperienze che parlino alla e della vita, che facciano imparare a stare da cristiani dentro alle situazioni.
Per le comunità cristiane in cui le proposte di Ac si sviluppano, questa stessa dimensione può costituire un antidoto all’autoreferenzialità, un incoraggiamento ad “allargare il cuore” verso gli ambienti di vita, la società civile, la città degli uomini.
Una terza sfida per l’associazione consiste nel continuare a praticare l’ecclesialità come costante richiamo a ciò che è comune, ordinario, di tutti… lottando costantemente contro la tentazione di fare una Chiesa “a modo mio” o “per pochi ma buoni”. In questo modo l’associazione può anche offrire un ambiente adatto a far maturare, discernere e accompagnare forme di ministerialità radicate nel battesimo e vissute come servizio, che non smarriscano la bellezza della “polifonia” della comunità, e si pongano in relazione con i sacerdoti con uno stile fraterno.
Francesco Simoni, presidente Ac diocesana di Padova