Aver vissuto in missione per 12 anni non è un eroismo ma sicuramente una formidabile opportunità per imparare approcci nuovi sulla vita e sulla fede. Uno degli aspetti che ha ricevuto luce nel mio ministero è stato il modo di annunciare Cristo ai fratelli. È stata come una nuova nascita, un parto spirituale che mi ha insegnato l’abc dell’annuncio, a non dare per scontato di conoscere e capire chi avevo davanti, a dire parole in modo nuovo; a dire – forse – parole nuove.
Parto dall’esempio di Gesù: «Umiliò se stesso» (Fil 2,8). L’humilitas è un atteggiamento di chi è disposto a farsi piccolo per entrare, per abbassarsi verso l’altro, per essere prima di tutto disposto a ricevere come il seme fa con la terra. E poi avere la generosità di donare. Il missionario è liberamente costretto a fare così, non gli è permesso seguire altre strade. La presunzione di chi sa e sa di sapere non ha spazio nell’annuncio catechistico. La fecondità della Parola funziona sempre solo nella circolarità di ascolto e comunicazione, di apprendimento e dono, di silenzio e di parola.
E poi la realtà che si ha davanti è sempre la maestra della catechesi, più dei libri e più delle nostre idee preconfezionate, belle e ideali. Il contesto radicalmente altro di un mondo diverso dal tuo ti porta subito a un approccio nuovo (e non è forse la situazione che stiamo percependo tutti in questo “cambio di epoca” pur senza andare in missione?). Le persone (i ragazzi, i bambini, ma anche i giovani e gli adulti) ti interpellano, “esigono” che tu parta da loro, da quello che vivono, dalle domande che hanno, dalle incertezze che soffrono. Nel fare catechesi uno è chiamato veramente all’accoglienza, consapevole che ci sono “semi del Verbo” nella storia di ogni persona e vanno riconosciuti, custoditi, evidenziati.
Generalmente quando uno va in missione deve imparare una nuova lingua e, a volte, più di una. Un processo questo, non semplicemente di apprendimento linguistico, ma di inculturazione personale. La prima traduzione del Vangelo è dentro di noi, nella nostra vita personale, e poi avviene fuori, nella relazione con l’altro, nell’atto catechistico, nell’annuncio. Macinare il messaggio, sminuzzarlo perché alimenti la propria esistenza non è mai un processo scontato per un catechista. Il processo di decifrazione della Buona Notizia in dialogo con il nostro vissuto per coglierne la significatività per noi è il “primo annuncio” sempre da compiere e da ricevere. In questo modo si sperimenterà un’efficacia nuova della Parola, una capacità maggiore di raggiungere il cuore dell’altro perché prima ha raggiunto il tuo. Lo spazio della preghiera resta vitale e promettente. E poi, senza rendersene conto, uno cambierà anche il modo di parlare. E non perché comincia a parlare lingue diverse, come fanno i missionari, bensì perché dice in modo diverso il “solito” Vangelo.
E qui arrivo al cuore di una catechesi rinnovata, meglio ancora, di un annuncio che sgorga sempre nuovo come acqua zampillante che disseta il cuore dei piccoli e dei grandi del nostro tempo: è l’annuncio gioioso di Cristo morto e risorto che nella sua Pasqua ha ridato vita e speranza all’umanità. È l’incontro con Lui, l’esperienza del suo amore di misericordia che accende questa parola e la fa diventare fuoco che arde come a Emmaus. Questa esperienza non è detto che ci sia stata nelle persone a cui parliamo e forse nemmeno in noi. La fede non può più essere presupposta ma va fatta nascere. A mio avviso solo una catechesi kerigmatica è capace di aprire oggi la chiave del cuore di chi è chiuso e ripiegato su se stesso e i propri problemi o egoismi personali, o preso semplicemente dalla superficialità o dall’indifferenza.
Se la catechesi oggi torna, senza timore, all’essenziale dell’annuncio di Gesù e della sua vicenda di amore consumata nella Pasqua, dalla quale sempre si parte e sempre si ritorna, farà di ogni annunciatore del Vangelo un autentico missionario, umile e per questo coraggioso, in ascolto di Dio e della vita, capace di parole nuove perché significative nell’oggi, gioioso perché consapevole di essere portatore della notizia più bella e importante della storia.
don Giuseppe Alberti, già missionario fidei donum, ora parroco moderatore dell’up di Villafranca Padovana