La liturgia ricopre un valore particolare nella vita di una comunità cristiana. Anzi, dovremmo dire che è l’attività per eccellenza dalla quale scaturiscono tutte le altre e in essa sono ricomprese. La terza edizione italiana del Messale ci dà l’opportunità di riconsiderare il valore dell’atto liturgico e la sua pregnanza nella pastorale. Il momento celebrativo non è solo un atto cultuale che si esprime in una ritualità precisa per essere efficace. Nella celebrazione liturgica la comunità ecclesiale rinnova la memoria e attualizza la presenza salvifica di Cristo. La riproposizione del Messale in una nuova veste non è solo un fatto di restyling, ma un’attualizzazione attraverso il linguaggio, la forma, le immagini di ciò che viene creduto, celebrato e vissuto. È dunque un testo prezioso sia per la fede che per la pastorale.
C’è anzitutto un’obiezione che va chiarita: il Messale non riguarda esclusivamente il ministro ordinato che presiede i riti? In effetti la stessa collocazione fisica lo rende inaccessibile ai singoli fedeli e utilizzato solo dai vescovi e dai preti. In realtà appartiene a tutta l’assemblea celebrante, perché in esso sono presenti le invocazioni che eleva a Dio e le risposte che è invitata a dare. Più in profondità, vi troviamo lo “spartito” delle celebrazioni “eseguito” e posto in atto dall’assemblea tutta. Questa è chiamata a riconoscervi uno strumento al servizio del dono del celebrare. Il dono di radunarsi e diventare comunità; il dono di inserire il “fare” delle mille attività pastorali nello “stare” davanti al Signore; il dono di poter portare la propria vita alla sorgente della Parola.
In modo particolare la pastorale liturgica è sollecitata a una scelta oculata dei testi che evidenziano il senso della fede, le speranze, le preoccupazioni dei credenti. La ricchezza orante di un’assemblea valorizza il tempo e gli eventi della vita espressi nella differenziazione dei tempi forti dal tempo ordinario, delle memorie dei santi dalle feste. Vanno rivisitate, in questo senso, le varie possibilità che anche nel tempo ordinario sono previste per rendere la liturgia sorgente di vita. Orazioni, prefazi, messe rituali e votive…, esprimono la complessità del vivere posto all’attenzione di Dio per essere benedetto, purificato, portato a compimento.
Al di là delle novità piccole o grandi che ritroveremo nel nuovo Messale, viene spontaneo chiedersi se già in questi anni siamo stati capaci di valorizzare la varietà celebrativa proposta. La tentazione di colui che presiede è di adagiarsi ai formulari più noti, più facili, a volte più corti, scandendoli in una ripetitività infruttuosa. Lo era prima, lo sarà forse ora. A nulla vale un testo ben curato se l’indolenza di chi è chiamato a scegliere le formule della preghiera riduce tale ricchezza a un prontuario minimo da recitare a memoria.
La sfida è che ogni comunità si riappropri della sua responsabilità celebrativa e, approfondendola, riscopra la bellezza della liturgia cristiana come fondamentale nutrimento del cammino di fede. Sarà necessario valorizzare la ministerialità prevista per le celebrazioni, funzionale non solo al loro svolgimento, ma segno di partecipazione e della presenza dei doni carismatici battesimali che si esprimono in forme di servizio qualificato. Se c’è un ambito nel quale una pluralità di diaconie è ampiamente prevista, questo è proprio la liturgia. Spesso non sono considerate o male interpretate riducendo a un dualismo – prete/assemblea – la dinamica ministeriale. Anche la sciatteria, la fretta e la mancanza di gusto estetico, per non dire dell’eccessiva loquacità, non aiutano a dare il giusto ritmo alla celebrazione e a entravi in essa.
La formazione su questi aspetti non è mai troppa e ancora molta la strada da compiere. Gruppo liturgico, lettori, cantori, ministranti… sono solo alcune delle figure che possono/devono intervenire nelle celebrazioni per rendere l’azione liturgica espressione di una assemblea orante e non un semplice raduno di amici.
don Livio Tonello, direttore Istituto superiore di Scienze religiose