Anche in quest’ultima campagna elettorale per il rinnovo del Parlamento europeo, alcuni hanno accusato le diverse Conferenze episcopali nazionali di schierarsi con questa o quella parte politica. Anche nel nostro contesto locale, la Chiesa di Padova è stata criticata perché, secondo qualcuno, avrebbe dato delle indicazioni di voto ispirandosi a principi di una certa parte politica. La polemica è velocemente rientrata quando ci si è accorti che quelle “indicazioni” suggerite si rifanno alla tradizione secolare della Dottrina sociale della Chiesa.
Nulla di nuovo sotto il sole. La storia ci ricorda come, in Occidente, il rapporto tra politica e religione – tra Stato e Chiesa – non sia mai stato idilliaco. Entrambi, come degli innamorati burrascosi, si sono reciprocamente sedotti e abbandonati, incapaci di vivere autonomamente: si litiga, ma non si riesce a vivere separati. In questo rapporto tempestoso che si protrae da secoli, il potere politico ha cercato la sua legittimità dall’autorità religiosa – come fanno alcuni partiti anche oggi – e la Chiesa spesso si è lasciata assorbire dallo Stato, che l’ha trasformata in un organo deputato a gestire la sfera religiosa.
«Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio» (Mt 22,21) mette fine alla divinizzazione del sovrano e sancisce il principio dell’autonomia delle realtà terrene (Gaudium et spes, n. 36). Gesù «afferma che occorre dare a Dio quello che è di Dio, condannando implicitamente ogni tentativo di divinizzazione e di assolutizzazione del potere temporale» (Compendio della dottrina sociale della Chiesa, n. 379).
A partire da questo insegnamento, i primi cristiani si sono spesi affinché questa separazione rimanesse tale e da lì sorgesse quel principio di autonomia su cui si fonda lo Stato moderno che oggi abbiamo imparato a chiamare “laicità”. Questo non deve essere inteso come una semplice equidistanza da tutte le ideologie, religioni, visioni del mondo, senza sposarne nessuna. Laicità è la possibilità data a ogni persona di realizzare pienamente la propria libertà di cittadino, in modo autonomo e indipendentemente dalle sue personali convinzioni. È la liberazione da ogni forma di ideologia politica e religiosa – perché anche la religione può diventare ideologia – che proclama una salvezza secolarizzata: la salvezza viene dalle sole forze umane. Liberazione da un potere inteso come onnipotente che pretende di realizzare ogni desiderio umano: dare senso alla vita, felicità, benessere spirituale e morale, gioia, pace, serenità… In questi casi, Cesare sconfina nell’ambito di Dio e, quando pretende di comprendere la totalità dell’esistenza umana, diventa totalitario e assoluto.
Garantire alla politica la sua propria autonomia significa far rientrare la riflessione politica nell’alveo del razionale e del reale, creando spazi in cui sia data la possibilità a chiunque di confrontarsi con le convinzioni degli altri, in un autentico spirito di ricerca e dialogo.
don Giorgio Bozza, docente di teologia morale alla Fttr