« Ecce Agnus Dei,
ecce qui tollit peccata mundi.
Beati qui ad cenam Agni vocati sunt »
(Messale Romano, Riti di comunione)
La nuova edizione del Messale Romano – non esattamente come si sente dire… il “nuovo” Messale – è la traduzione rinnovata del Messale voluto dal Concilio Vaticano II e pubblicato da Paolo VI. Esso giunge a noi come versione italiana dell’Editio typica tertia latina del Missale Romanum, pubblicato da Giovanni Paolo II nel 2002. La prima edizione latina – dopo il Concilio Vaticano II – fu pubblicata nel 1970 (tradotta in italiano nel 1973). Mentre l’Editio typica seconda fu pubblicata nel 1975 e la sua traduzione italiana risale al 1983 (il libro liturgico che useremo ancora fino all’ormai imminente Tempo di Avvento).
Il lavoro di traduzione e adattamento operato dalla Conferenza episcopale italiana è durato ben 17 anni, e il Messale Romano del 2020 sarà obbligatorio per le Chiese della Regione Ecclesiastica Triveneto dalla prima domenica di Avvento (precisamente dalla vigilia, sabato 28 novembre 2020). Il Libro liturgico, edito dalla Fondazione di Religione Santi Francesco d’Assisi e Caterina da Siena, si presenta in un unico formato dimensionale, in «taglio bianco» o nell’elegante «taglio oro». Questa terza edizione italiana è senza dubbio un passo molto importante nella receptio del rinnovamento della liturgia romana.
Può essere utile a questo punto, prima di addentrarsi in considerazioni e valutazioni che la teologia avrà il tempo di fare, riassumere ciò che appare più rilevante e significativo in questa edizione di pregevole valore:
II. Inaugura il nuovo libro liturgico un’interessante revisione dell’Ordinamento Generale del Messale Romano: la teologia eucaristica, l’ecclesiologia e la teologia dei ministeri liturgici ispirati alla riforma conciliare sono ora corredati da scelte rituali maggiormente adeguate e che la esprimono; non sfugge la redazione di un inedito capitolo IX sugli Adattamenti che competono al Vescovo diocesano e alle Conferenze Episcopali di cui colpisce la profonda responsabilità affidata al vescovo il quale – «come grande sacerdote del suo gregge» (OGMR 2020, p. L, n. 387) deve promuovere, guidare e vigilare sulla vita liturgica di tutta Chiesa locale, coltivando «nei presbiteri, nei diaconi e nei fedeli lo spirito della sacra Liturgia» (idem).
II. Il più grande risultato del Messale italiano del 2020 è stato produrre un lodevole, seppur lungo e complesso lavoro di traduzione e adattamento dei testi dal latino.
III. Il Rito della Messa è stato rivisitato in alcuni passaggi non irrilevanti: l’uso di nuove allocuzioni all’assemblea; la rivisitazione di alcuni inni o preghiere (l’uso delle invocazioni Kyrie, eleison; le note modifiche al Gloria – «e pace in terra agli uomini amati dal Signore» – e alla Preghiera del Signore – «comeanche noi li rimettiamo ai nostri debitori» e «non abbandonarci alla tentazione» –; un’attenta revisione del linguaggio delle Preghiere eucaristiche che aiuti maggiormente a coglierne la dinamica teologico-letteraria, espressiva di profonde verità di fede; l’arricchimento dei prefazi; l’aggiornamento del Proprio dei Santi(recentemente inseriti nel Calendario Generale) con l’introduzione di due memorie obbligatorie: il 6 dicembre san Nicola, vescovo e l’1 maggio san Giuseppe, lavoratore.
IV. Il definitivo “sdoganamento” delle melodie per il canto del celebrante (vescovo o presbitero) in dialogo con l’assemblea ha riportato “le note musicali” nel corpo del testo del Messale, salutando una volta per tutte il loro “confinamento” in Appendice, rinunciando così all’idea che il canto del ministro ordinato sia solamente un vezzo o una realtà accessoria – ed eventualmente superflua – fatta solo per esperti o intransigenti assertori di estetismi solennizzanti.
V. La consegna di questo nuovo Libro liturgico alle parrocchie e a tutte le realtà ecclesiali della Chiesa Italiana, chiede alle Diocesi uno slancio carico di composto entusiasmo, ponendo in essere le premesse per compiere alcune fondamentali scelte di ordine teologico, ecclesiale e formativo: riappropriarsi del libro per l’Eucaristia come forma visibile della fede della Chiesa cattolica nell’Eucaristia e nella natura stessa della Chiesa; adoperarsi una volta per tutte a una più completa e organica formazione dei presbiteri e dei diaconi alla sacra Liturgia e a quella ben più urgente dei seminaristi diocesani e dei religiosi; riaffidare alle cattedrali e alle chiese principali il compito dell’esemplarità; affinare i presbiteri, i diaconi, i cori parrocchiali e l’assemblea tutta nella conoscenza e formazione al canto della Messa; vigilare sulla produzione di “strumenti” pastorali (e.g. il cosiddetto «foglio domenicale», certi generi di sussidi per il canto, i “messalini-usa-e-getta” o le app con i testi della liturgia del giorno…) perché non siano inadeguati o si convertano in forme di cristallizzazione di modelli inadeguati o addirittura scadenti del rito cristiano; la necessità di rieditare i Messali Propri delle Diocesi; la necessità mettersi in ascolto del mondo contemporaneo e della sua receptio riguardo la liturgia, servendosi degli strumenti che la teologia può offrirci negli istituti preposti a questo genere di studi… La strada non è poca ma ci spinge a lavorare con entusiasmo perché appaia sempre più come «ogni celebrazione liturgica, in quanto opera di Cristo sacerdote e del suo corpo, che è la Chiesa, è azione sacra per eccellenza, e nessun’altra azione della Chiesa ne uguaglia l’efficacia allo stesso titolo e allo stesso grado» (cfr. Sacrosanctum Concilium nr. 7).
don Gianandrea Di Donna,
direttore dell’Ufficio diocesano per la Liturgia