La fede cristiana è la storia di una relazione e di una relazione in corso. Dio ci viene incontro, ci sorprende, inizia una relazione con noi, con tutto quello che le relazioni di amore comportano (dai momenti felici alle crisi, ai tradimenti, al perdono e anche qualche volta all’abbandono). […] Una delle cose più belle che faccio nel mio insegnamento è un corso di “Autobiografia e narrazione”. Come esame chiedo agli studenti, oltre alla lettura di qualche libro, di scrivere la propria autobiografia di fede. In classe, per una lezione intera, metto una musica di sottofondo. Loro vengono con un foglio da disegno e delle matite colorate. Per due ore disegnano, come fanno i bambini, le case della loro fede, quante case della fede hanno simbolicamente abitato. Li invito a mettere in ogni casa i volti e gli oggetti che ricordano quel tipo di fede e di dare un nome a quella casa: casa serena, casa della prima comunione, casa del dubbio, ecc. Alla fine sul foglio appare un percorso con tante case quante sono le tappe di fede che anno vissuto, quanti traslochi hanno fatto. […] Sono storie emozionanti, nessuna uguale alle altre, racconti di cammini mai lineari, ma sempre carichi di sorprese, di gioie, di sofferenze, di dubbi, di arrabbiature, di abbandoni, di ritorni, di ricerche. E hanno sempre due caratteristiche: raccontano la fede come una relazione intrecciata nelle vicende relazionali che hanno avuto e hanno. È sempre questione di una storia con Dio che avviene nelle storie con gli altri. […] Ma anche nella mia autobiografia è stato così: sono gli incontri con gli altri che mi hanno portato a credere, che mi hanno portato a fare una scelta di vita, che mi sorreggono e mi portano, che anch’io aiuto a sorreggere, al punto che ritengo più facile e più vero dire “Noi crediamo”, piuttosto che dire “Io credo”, e quando a messa la domenica dico “Io credo” mi guardo intorno e oso dirlo perché altri lo dicono insieme a me: senza di loro io non lo saprei dire.
Un altro aspetto della fede che vi voglio sottolineare: la fede è una storia che chiede di essere raccontata. […] Essendo essa una storia, la storia di una relazione, una relazione in corso, quando ne vogliamo parlare, prima che argomentare, discutere, confutare, dobbiamo raccontare. E il racconto è in se stesso disarmante e non violento: presenta, senza giudizi e senza pretese. Attesta. Per presentare la nostra fede abbiamo solo due parole possibili: “Eccolo”; Eccomi”. Eccolo come mi è venuto incontro; eccomi come mi ha trasformato, come provo ad accoglierlo, come vivo la relazione con lui. Si chiama testimonianza. Ma perché farlo? […]
Non certo per necessità o per dovere. […] Noi non annunciamo il Vangelo per dovere o per necessità di salvare gli altri. La fede esplicita in Gesù non è necessaria per vivere umanamente bene la propria vita: ci sono altre modalità, altre religioni, altre saggezze, altre filosofie. […]
La fede esplicita in Dio non condiziona il suo amore: egli ama tutti a prescindere. […]
Paradossalmente, la fede nello spazio del “non necessario” rende la testimonianza necessaria per due motivi.
- Per la nostra gioia, cioè per un’esigenza di gratitudine insita al dono della fede: «perché la nostra gioia sia piena» (1Gv 1,4). È il grande messaggio di papa Francesco.
- Per la nostra carità, che dona agli altri quello che di più prezioso possiede (Evangelii Gaudium, 264-266).
Noi annunciamo il Vangelo per esigenza interiore, per la nostra gioia e perché «non è la stessa cosa».
Fratel Enzo Biemmi, estratto dall’incontro formativo “Sinodo delle associazioni” organizzato dalla Diocesi di Vicenza 10 marzo 2019