L’interesse e la riscoperta della comunione è uno dei fenomeni più significativi del panorama ecclesiale degli ultimi decenni. Tale realtà ha preso a poco a poco un posto determinante nella riflessione e nella prassi delle comunità cristiane, tanto che oggi essa ne costituisce probabilmente l’aspetto essenziale. A dire il vero, la nozione di comunione, per il fatto di essere presente nel simbolo apostolico, non è mai stata completamente ignorata dalla riflessione cristiana, ma è indubbio che oggi è molto forte la consapevolezza della sua centralità nella vita delle Chiese, sia in quella cattolica, come anche in quelle ortodossa, protestante e anglicana, che hanno trovato nel movimento ecumenico lo spazio per il dialogo, lo stimolo reciproco e un cammino comune.
Cosa si intende per comunione? Nel Nuovo Testamento e nei Padri, essa ha assunto tre sensi, strettamente correlati: cristologico/pneumatologico, eucaristico, ecclesiale. Il primo, presente soprattutto nel Nuovo Testamento e nei Padri greci, è stato poi espresso con il vocabolario della divinizzazione e della santificazione. Il secondo, già testimoniato nel secondo secolo, conserva un ampio respiro nel vocabolario greco e anche in Agostino, ma poi, nel vocabolario latino, gradualmente si è ristretto fino a significare la recezione della comunione. Il terzo è presente nel Nuovo Testamento ed è stato elaborato soprattutto dai Padri latini. Esso indica la solidarietà delle persone fondata sulla partecipazione allo Spirito del Signore risorto, che incorpora i credenti all’unico Corpo del Cristo. In concreto, esprime il vincolo di unione tra vescovi e fedeli, vescovi tra di loro, fedeli tra di loro, che viene effettuato e insieme manifestato dalla comunione eucaristica.
Gli elementi visibili della comunione, come l’attività sinodale, gli organismi di corresponsabilità, la pratica dell’ospitalità, sono iconici per natura, rimandano alla comunione spirituale. Essi sono sacramentali, nel senso che il visibile rende presente l’invisibile, il “già”, il “non ancora”. Agostino distingue tra communio sanctorum (comunione delle cose sante) e communio sacramentorum (comunione dei sacramenti). Questa è immagine di quella; quella si rende presente in questa, ma conservando sempre uno scarto irriducibile tra le due, come c’è uno scarto tra l’uomo esteriore e l’uomo interiore.
La prima e in un certo senso l’ultima forma concreta in cui lo Spirito realizza l’unità tra communio sanctorum e communio sacramentorum è quella della comunità eucaristica. In nessun’altra forma della sua esistenza fin dalle origini la Chiesa vide mai una sintesi più piena del mistero pasquale e di quello pentecostale. Infatti, sebbene l’Eucaristia sia stata istituita nell’Ultima Cena, essa fu celebrata nel giorno della Risurrezione, il giorno escatologico del Sabato Santo.
Per il fatto di essere escatologica per natura, la Chiesa contrasta profondamente con questo mondo; il mondo la odia come ha odiato Cristo (Gv 15,18; 17,14) ed essa deve vivere a “porte chiuse” (Gv 20,19), perché la sua “cittadinanza” è in cielo (Fil 3,20). D’altra parte, in virtù della stessa dimensione pneumatologica, la Chiesa è relazionale per natura; la sua esistenza non può essere se non ek-statica; essa non può rigettare nulla e nessuno. Il suo compito è di arrivare ad abbracciare il mondo intero.
In concreto, come possiamo attivare un’autentica prassi di comunione? Essa, fondata sulla consapevolezza della simultaneità tra l’uno e i molti, è costituita dal duplice movimento dell’uno verso i molti e dei molti verso l’uno. Si esprime in modi ben precisi a livello di Chiesa universale e di Chiesa particolare, nella vita concreta delle parrocchie, dei gruppi e delle comunità. Il nodo essenziale di questa prassi è l’intreccio tra primazia e sinodalità, che si esprime nel modo comunionale di esercitare l’autorità e nella dinamica sinodale. Ognuno di noi è partecipe dell’uno e dell’altro movimento. Per poterlo essere in modo costruttivo, dobbiamo preoccuparci di maturare alcuni atteggiamenti fondamentali che, se venissero a mancare, renderebbero di fatto impossibile, nonostante le buone intenzioni, un’autentica prassi di comunione. Essi sono la pazienza e l’umiltà, la stima dell’altro, l’ascolto e la capacità di comunicazione, la disponibilità a mettere a disposizione il proprio dono, la scelta ostinata di vincere il male con il bene.
mons. Sandro Panizzolo, arciprete del Duomo di Monselice (Pd),