Ognuno può constatare come i luoghi nei quali si era forgiato un certo tipo di cristianesimo, caratterizzati da una certa omogeneità sociale, stanno via via lasciando il posto a nuovi ambienti urbani, organizzati secondo altre logiche rispetto ai precedenti, e caratterizzati da una multiculturalità e da un’elevata complessità di vita. Le ricerche sociologiche evidenziano come a livello mondiale la popolazione stia diventando sempre più urbana, in quanto le città offrono molte possibilità di incontro e di realizzazione, ma dall’altra comportano nuove distanze sociali, forme di emarginazione, di diffidenza e violenza, e dove si alimentano i divari tra le classi. Inoltre non possiamo tralasciare come in questi scenari il fatto cristiano sia percepito poco rilevante e la dimensione della fede sempre più marginale e confinata nell’ambito personale.
Contro una tendenza che porterebbe a rinchiudersi nei propri spazi, anche materiali, e a subire questo cambiamento che comunque sia è inarrestabile, la chiesa non può non riconoscere la città come luogo privilegiato nel quale annunciare oggi il Vangelo.
Questo comporta il ripensarsi Chiesa dentro a queste nostre città nelle quali noi stessi cristiani viviamo, avendo il coraggio di prendere la distanza dalla sterile denuncia e di lasciare la logica del «si è sempre fatto così», e di accettare prima di tutto di stare in un ambiente che continuamente provoca, rapidamente muta e assume linguaggi, riti e dinamiche a noi estranei. Uno starci perché, sia con tutti i loro paradossi e criticità, Dio abita queste realtà dove vivono le persone destinatarie dell’opera di salvezza, dove si è sollecitati a riconoscere il Risorto che si lascia incontrare in queste nuove «galilee delle genti» nelle quali le fragilità e le contraddizioni dell’essere umano sono palpabili e nelle quali, seppur non in maniera chiara ed evidente, c’è sete di verità, di giustizia e di pace.
Di fronte a questa complessità si è sollecitati come comunità dei discepoli a prendere assieme l’iniziativa di annunciare con coraggio il Vangelo, di raggiungere le varie periferie non solo urbane, ma anche esistenziali e religiose che si mescolano tra loro, di rendersi presenti lì dove si organizzano quei nuovi paradigmi della vita e si forgiano le nuove culture, di collaborare con quanti si adoperano per la promozione della persona, ma anche a sentirci direttamente coinvolti e partecipi di questa azione e a farci autentici compagni di cammino. Questo richiede un ascolto serio e attento della realtà, e un prendere seriamente in considerazione quelle domande profonde di senso che spesso fanno fatica a emergere.
Concretamente questo significa cambiare prospettiva: non più attendere o sperare in un ritorno nostalgico di altri tempi, ma un uscire per incontrare, un andare per stare con, un camminare e condividere esperienze; dove la finalità non sia quella di riportare la gente dentro ai nostri ambienti, ma quella di far rinascere l’esperienza di Chiesa in mezzo alla gente. Un’azione di evangelizzazione che non debba limitarsi al solo ambito delle parole, ma essere un «annuncio testimoniato» da viversi nella prospettiva sia del granello di senape, cioè di chi con umiltà e pazienza si adopera alla costruzione di una città nella quale ci si possa sentire a casa, e del buon samaritano cioè di chi non è indifferente o evita di stare in quei luoghi dove si è chiamati a rendere presente il Regno di Dio.
don Fabio Moscato, docente alla Facoltà teologica del Triveneto