Suor Nirmala Joshi, la prima superiora generale delle Missionarie della carità dopo Madre Teresa, diceva in occasione di un’intervista: «La nostra vita e il nostro lavoro di amore tra i più poveri dei poveri sono il prolungamento del sacrificio eucaristico che abbiamo offerto. Adoriamo Gesù nell’eucarestia e lo serviamo e amiamo negli altri e nei più poveri dei poveri. Madre Teresa ricordava che “quanto più tenero è il nostro amore per Gesù, pane di vita nell’eucarestia, tanto più tenero sarà il nostro amore per Cristo assetato nei più poveri dei poveri”. La Madre diceva anche che “Gesù si dona a noi attraverso l’eucarestia per saziare la nostra fame e la nostra sete di Dio, Egli viene a noi nei più poveri dei poveri, come l’affamato, l’assetato, il senza casa, il malato, il moribondo, il non amato e l’indesiderato, per darci l’opportunità di saziare la Sua sete del nostro amore”. La Madre incoraggiava i bambini e gli adulti ad andare alla messa domenicale nelle proprie parrocchie, dove invitava all’adorazione eucaristica. Per questo le cappelle del nostro convento rimangono aperte per coloro che vogliono unirsi a noi nella messa e nell’adorazione. Per quanto possibile, in ognuna delle nostre case per i poveri abbiamo una cappella dove chi vuole è libero di venire alla presenza eucaristica di Gesù per ricevere la sua pace, il suo amore e la sua gioia».
Questi semplici ma profondissimi pensieri sono il cuore della spiritualità di santa Teresa di Calcutta e costituiscono gli elementi che mettono in relazione l’eucarestia con l’esercizio della carità. L’esperienza, vissuta da questa santa e dalle sue sorelle, dell’incontro con Gesù nell’eucarestia sprigiona una forza inaudita, stravolge la vita immettendola nella vita di Dio e donandole la stessa passione di Dio per l’umanità, tanto che il servizio verso i più poveri tra i poveri diventa occasione di ri-amare Gesù che in questi vuole essere incontrato.
L’eucarestia ripresenta e attualizza il dono di amore che Gesù ha fatto di sé nel sacrificio della croce. Chi vive l’eucarestia è inserito nella Trinità, ne sperimenta l’amore che vivifica le relazioni tra Padre e Figlio nello Spirito, riceve la pienezza di vita di Dio ed è assunto nella sua divinità. Celebrando la cena del Signore si entra nella sua logica di dono che giorno per giorno diventa anche la logica del discepolo. L’essere-per-l’altro di Gesù, per la sua forza rinnovante, innesca l’essere-per-l’altro del discepolo; questi nel rapporto con il povero ritrova Gesù come colui da amare proprio mentre Gesù nel povero si lascia ri-amare dal discepolo.
Questi elementi costitutivi dell’esperienza caritativa della Chiesa dicono che la carità non è per alcuni ma di tutto il popolo di Dio proprio perché l’eucarestia è sorgente e culmine della vita della Chiesa. Questo impegna i cristiani a vivere l’eucarestia come momento motivante e qualificante della propria esperienza spirituale. Se l’esito della partecipazione all’eucarestia non fosse l’impegno per la causa dei poveri, la solidarietà con le loro sofferenze, l’azione fattiva ed effettiva per rimuovere gli ostacoli che li discriminano, ma l’indifferenza, la superficialità, il disinteresse, la chiusura e l’egoismo, sarebbe doveroso chiedersi se l’eucarestia sia stata davvero celebrata, se il dono di amore di Dio sia davvero stato accolto e se gli sia stata data la possibilità di agire in noi.
Ecco allora la cartina tornasole per verificare la partecipazione fruttuosa al mistero della morte e risurrezione di Gesù: l’impegno per la costruzione di un mondo più umano in cui il rispetto di ogni persona diventi stile di vita e metro di scelte personali e comunitarie.
Lorenzo Rampon, direttore Caritas diocesana