Il percorso del Sinodo diocesano dei Giovani ha lasciato in eredità, specialmente a chi lo ha vissuto in prima persona nella Commissione preparatoria e nell’Assemblea sinodale, una forte consapevolezza: la consapevolezza che è possibile fare discernimento comunitario. Per quanto esista una lunga tradizione e qualche interessante esperienza di metodi che favoriscono e supportano il discernimento comunitario, la sensazione è che sia percepito come un “animale raro nella giungla pastorale”: esiste, ma è difficile vederlo. Il Sinodo, con il processo che ha innescato, ha permesso di realizzarne una forma particolare che ha visto il suo esito nella Lettera dei Giovani alla Chiesa di Padova. In forza di questa ricchezza che sa di conferma e di “profezia”, è stato proposto a tutte le comunità della Diocesi di dedicare tempo ed energie per mettersi di fronte al Testo finale del Sinodo con uno stile di discernimento comunitario (Il seminatore uscì a seminare…, pp. 24 ss.).
Come Ufficio di Pastorale dei Giovani, abbiamo ricevuto in questi mesi tante sollecitazioni e ritorni di comunità che si sono interrogate sulla scia di questo stimolo. Altre lo faranno nel prossimo anno pastorale. Non abbiamo dati statistici ma ci sono alcune ricorrenze che stimolano dei ragionamenti:
- C’è un desiderio diffuso di prendere in mano come comunità la sfida pastorale delle giovani generazioni. Una sfida indubbiamente complessa ma c’è la consapevolezza di partenza che non è più il tempo dei “cavalieri solitari” (preti o laici). Il bisogno di ragionare insieme, procedere insieme, discernere insieme è forte e diffuso.
- C’è tuttavia la tensione a trovare velocemente delle risposte. La storia dei nostri territori, in ottica di pastorale giovanile, è segnata in certi casi da importanti fatiche. Non stupisce perciò che la tensione al cambiamento sia così forte da tendere alla ricerca quasi precipitosa di qualcosa che funzioni e di spendibile nell’immediato. Questo atteggiamento da “prestissimo” non è certo il tempo tipico del discernimento comunitario, che educa alla pazienza dei tempi lunghi e alla fiducia nei processi da innescare più che degli spazi da occupare. C’è la necessità invece di calma, meditazione, discernimento, sperimentazione che spesso cozza con la fretta e l’accelerazione tipica dei nostri tempi.
- I membri degli organismi di comunione non sono tutti abituati alle dinamiche, ai modi, ai passaggi richiesti per vivere un fruttuoso discernimento comunitario. Queste differenze richiederebbero tempi ancora più lunghi e un investimento maggiore in un’educazione graduale e continua alla pratica del discernimento. Investire sulla formazione e sulla pratica del discernimento è però importante ora che siamo ancora all’inizio del mandato dei CPP e dei CPGE.
- La centratura sul Signore, su ciò che Lui vuole dire alle nostre comunità, è un prezioso esercizio e allenamento. Nonostante le possibili fatiche e il rischio di distorsioni del metodo del discernimento comunitario, affrontare una questione cercando di assumere la prospettiva del Signore e lasciandosi accompagnare dal soffio dello Spirito è un modo attraverso cui crescere, definirsi e alimentare l’identità come credenti e come comunità credente.
Questi semplicissimi ragionamenti convergono su una lucida convinzione: è necessario insistere, dedicare ancora energie e tempo per stare, insieme, di fronte alla sfida della cura pastorale dei giovani. Il discernimento comunitario è un’ottima via per evitare i guru, la depressione del pessimismo, l’entusiasmo fugace del fiammifero o la sterile ripetizione di moduli e proposte che andavano bene magari vent’anni fa. E per continuare a seminare speranza con e per le giovani generazioni.
Giorgio Pusceddu, collaboratore dell’Ufficio di Pastorale dei Giovani