Ritorno ad alcuni incontri con i genitori di Iniziazione cristiana in parrocchia in cui si provava a cogliere il volto del Padre, così come lo preghiamo nella preghiera del Padre nostro, a cui dedichiamo questo numero di Lettera diocesana, tenendo conto delle variazioni introdotte nella nuova traduzione del Messale.
Sentivo delle immagini falsate che per certi aspetti rintracciavo anche nei miei pensieri e nel mio cuore e che provo a scrivere di seguito. Il Giudice inflessibile che obbedisce a una logica di “merito” per cui premia i buoni e castiga i cattivi. Il Signore potente che prima o poi potrebbe stancarsi di noi, visto che siamo incostanti e disobbedienti. Il Dio che va conquistato attraverso il culto, le buone azioni e la preghiera prolungata in una prospettiva magica, per cui in base alle attenzioni che gli accordiamo può esserci più o meno vicino. Un Dio onnisciente che conosce tutto ma non ti dice tutto, lasciando sempre noi uomini nell’ignoranza e nell’oscurità. Un Signore distratto, assiso nei cieli, lontano da noi, che qui sulla terra dobbiamo arrangiarci alla meno peggio e che se anche invochiamo il suo aiuto non riceviamo grandi risposte.
La grande rivelazione di Gesù è aprirci alla paternità di Dio, tanto da chiamarlo Padre. Anche nel Primo Testamento Dio viene descritto e raffigurato come Padre. Però quasi in termini “metaforici”, una metafora per dire il rapporto di Alleanza che c’è tra Dio e il popolo di Israele. In quanto Padre sarà suo compito prendersi cura del popolo, accompagnarlo, istruirlo e correggerlo. In Gesù, la parola Padre non è metafora ma indica invece una relazione reale, viva e vera. Siamo sempre figli amati e sempre il Padre è in relazione d’amore con noi.
Condivido in queste settimane l’impegno pastorale in parrocchia con don Giovanni Brusegan che presentando alcuni cambi del Messale diceva che più guardare la novità delle singole parole è importante accordare il cuore con le parole ed entrare nella bellezza della preghiera che ci trasforma. A me faceva risuonare la grande verità, mai del tutto appresa e per questo sempre da ripetere, affinché diventi il nostro modo di esistere: siamo figli amati. Questa parola, in ogni traduzione, non passerà mai!
don Leopoldo Voltan, vicario episcopale per la pastorale