«I poveri li avrete sempre con voi», ci ricorda il Vangelo di Marco. E da sempre se ne parla dal punto di vista sociale, economico, esistenziale, perfino spirituale («beati i poveri in spirito»). Considerati il termine della attenzione solidale sono diventati categoria sociale che ingloba singole identità. Ma le povertà sono di tanti tipi: materiale, psichica, spirituale, relazionale… che connota tante situazioni non uniformabili. Già parlare di “poveri” rispetto alla categoria “povertà” dice un’attenzione alla “persona” in difficoltà. Un passaggio ulteriore avviene nel momento in cui non sono considerati come oggetto di solidarietà ma come soggetto attivo. La parola “solidarietà” si è logorata nel tempo e a volte la s’interpreta male. Di fatto indica molto di più di qualche atto sporadico di generosità. È espressione di una nuova mentalità che pensa in termini di comunità e di priorità della vita rispetto all’appropriazione dei beni.
Papa Francesco nel capitolo quarto di Evangelii Gaudium, dedicato alla dimensione sociale della evangelizzazione, rileva il fondamento biblico e teologico di ogni attività caritativa andando oltre alla sola attenzione per l’ambito sociale ed economico: «Per la Chiesa l’opzione per i poveri è una categoria teologica prima che culturale, sociologica, politica o filosofica. Dio concede loro la sua prima misericordia» (n. 198). L’attenzione alla persona del povero è un’opzione implicita nella fede cristologica perché crede in quel Dio che si è fatto povero per arricchirci mediante la sua povertà. Dare attenzione ai poveri è riconoscere Dio presente e in azione. Essi sono i primi destinatari del lieto annuncio del Regno («mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio»). I poveri nella Scrittura sono primariamente gli indifesi, coloro che sono schiacciati dall’arroganza e dalla violenza dei potenti. Dio si pone a loro difesa ed essi affidandosi unicamente a Lui diventano i primi destinatari della sua benevolenza. Sfavoriti dalla situazione sociale hanno Dio per garante in quanto di loro si prende cura. Inoltre «con le proprie sofferenze conoscono il Cristo sofferente», esprimendo un inedito sensus fidei della «misteriosa sapienza che Dio vuole comunicarci attraverso di loro» (n. 198). Per questo papa Francesco rilancia su una “Chiesa povera per i poveri” che si lascia evangelizzare da loro scoprendo la forza salvifica delle loro esistenze capaci di rivelare Cristo. Il primo impegno da assumere, quindi, non «consiste esclusivamente in azioni o in programmi di promozione e assistenza…» ma in un’attenzione rivolta all’altro per «apprezzare il povero nella sua bontà propria, col suo modo di essere, con la sua cultura, con il suo modo di vivere la fede» (n. 199). Questo atteggiamento primario differenzia l’autentica opzione per i poveri da qualsiasi ideologia e intento di utilizzarli per scopi personali o politici e per mettersi la coscienza a posto.
Solo in un secondo momento emergerà l’atteggiamento etico a partire dall’ascolto del grido sofferente della persona indigente, debole o ammalata. Dio ha ascoltato il grido del suo popolo ed è sceso per intervenire. Come buon samaritano si fa prossimo di colui che si trova ai bordi della storia. La via tracciata dal Figlio di Dio è la via che la Chiesa oggi deve continuare a percorre per ridire Dio e renderlo presente e operante. «Qualsiasi comunità della Chiesa, nella misura in cui pretenda di stare tranquilla senza occuparsi creativamente e cooperare con efficacia affinché i poveri vivano con dignità e per l’inclusione di tutti, correrà anche il rischio della dissoluzione, benché parli di temi sociali o critichi i governi. Facilmente finirà per essere sommersa dalla mondanità spirituale, dissimulata con pratiche religiose, con riunioni infeconde o con discorsi vuoti» (n. 207).
don Livio Tonello, direttore Istituto superiore di Scienze religiose, docente di teologia pastorale