Siamo una famiglia sociologicamente classificata come numerosa. Ma non è sempre stato così. All’inizio eravamo solo R. e R. fidanzati e avevamo il sogno di una famiglia.
Nel nostro pensiero una famiglia non era solo la somma di due persone ma qualcosa di diverso, un’entità particolare con un peculiare modo di poter essere anche risorsa per gli altri. Ci piaceva l’idea di una famiglia aperta e accogliente.
Poi, nella pratica, ci siamo dati il tempo di sperimentare vari tipi di accoglienza con gradualità, cominciando con l’invitare amici e parenti a cene e pranzi nella nostra cucina, dotata di tavola molto allungabile, per proseguire aprendo i nostri cuori all’arrivo delle nostre tre figlie “naturali”.
Infine è arrivato il tempo di metterci in gioco come “famiglia risorsa” disponendoci all’esperienza dell’affido familiare. Per questo ci siamo accostati all’Associazione Mario Tommasi del Villaggio Sant’Antonio di Noventa Padovana, frequentando un corso di preparazione all’accoglienza in generale, con particolare riguardo all’affido temporaneo di minori.
Dopo qualche mese ci è stato proposto l’affido residenziale di una bambina di diciassette mesi (che ora ha tredici anni). Nonostante ci fossimo ampiamente documentati sull’affido durante il corso e fossimo sorretti da motivazioni che coltivavamo da anni, l’impatto con un bambino reale è stato emotivamente molto forte. L’esperienza dell’affido è veramente un’avventura, nella quale bisogna decidere di buttarsi con entusiasmo, ma anche consapevoli di inoltrarsi in un terreno molto delicato. Di fronte al compito di essere una nuova famiglia per un piccolo essere umano non si può non sentirsi inadeguati. In quel momento per noi è stato fondamentale affidarci alle mani di Dio. È stato inoltre importante scegliere di far parte di una rete di famiglie per non essere soli in questo difficile compito ma avere dei compagni di strada, per ottenere e offrire sostegno ed essere stimolati a crescere.
Prima di conoscere la bimba abbiamo conosciuto la sua mamma e abbiamo subito capito che nell’affido è necessario accogliere anche la famiglia d’origine e la sua storia. In questi anni nel rapporto con la mamma di M. abbiamo ricevuto un grande insegnamento d’amore. Lei ci ha affidato la figlia perché consapevole di non essere in grado di offrirle ciò di cui aveva bisogno e generosamente ha anteposto il bene della bambina ai suoi legittimi desideri di madre. La totale fiducia che ci ha accordato ci ha permesso di entrare in empatia con lei così da creare un circolo virtuoso nel quale ci siamo sentiti sostenuti a vicenda nel perseguire il comune obiettivo del rientro di M. nella sua famiglia d’origine.
Purtroppo questo non è stato possibile, per motivi di salute indipendenti dalle nostre volontà, e, dopo dieci anni di affido, abbiamo deciso di chiedere l’adozione speciale di M. Sapevamo che, anche se non sarebbe cambiato nulla nei rapporti tra noi, a livello soprattutto simbolico questo cambiamento avrebbe costituito un momento critico rendendo palese e ufficiale ciò che ormai avevamo intuito da tempo, il definitivo naufragio del progetto e del patto iniziale. Ci sentivamo un po’ traditori e soprattutto eravamo consapevoli di procurare un motivo di sofferenza alla mamma di M.
Ma ancora una volta lei ci ha sorpreso. Nonostante l’evidente turbamento è stata in grado di riconoscere il bisogno di M. di appartenere stabilmente a una famiglia e di non essere in casa nostra solo per una gentile concessione ma per un suo diritto, al pari delle altre sorelle.
R & R