La pace è desiderio che richiede uno spazio d’ascolto accogliente delle nostre emozioni. Di tutte le emozioni: per riconoscerle e comprenderle in noi nel loro modo di attivarci; per orientare la loro energia reattiva nella nostra forza attiva e trasformare così la paura in sorgente di prudenza, la gioia in coraggio d’azione, la rabbia in potenza di giustizia, la tristezza in compassione, il disgusto in indignazione. Non cerchiamo la pace dei sensi, ma piuttosto di dare un senso, cioè un significato e un orientamento, a quanto ci abita. Le emozioni sono l’energia del nostro pensare e del nostro agire. Educarci all’accoglienza e alla conoscenza delle nostre emozioni ci rende consapevoli di cosa proviamo, senza averne paura, educare le nostre emozioni ci rivela cosa vogliamo, cosa desideriamo, ci rende capaci di bene.
La pace è promessa che richiede l’attesa del compimento e l’opera di costruzione della realizzazione. «Dio annuncia la pace per il suo popolo» (Sal 85,9). Non ammette fretta né incostanza, esige pazienza e determinazione. La pace è dono e lotta, è intreccio di attesa e di impegno e allora «In piedi costruttori di pace» (Mt 5,9). Chi ha gambe fiacche e non sa osare, chi non tiene lo sguardo alto e si inganna dal suo angolo prospettico, chi nel progetto non sa intravedere l’opera compiuta, costui non è fatto per questa impresa. La pace ha bisogno di donne e uomini appassionati della vita, capaci di giocarla in prima persona, di guardarla con verità negli occhi della natura e dei popoli, di prendersene cura. “Tali e quali al Padre” si dirà dei figli che si prendono cura gli uni degli altri e di tutto il creato. È per questo che i costruttori di pace saranno riconosciuti come “figli di Dio”. Il cammino della pace è un percorso di liberazione dove l’idolo del risultato immediato che soffoca nell’affanno, lascia il passo all’attesa che apre alla speranza, la bramosia dell’appropriazione che imprigiona nella solitudine, lascia il passo alla condivisione che ci rende solidali, la pretesa che arrocca nella sopraffazione, lascia il passo all’opera comune che unisce. Nella speranza, nella solidarietà, nell’unità c’è pane e pace per tutti. Educarci all’accoglienza e alla conoscenza della realtà ci rende consapevoli di come viviamo, permette di scegliere modalità nuove. Educare la realtà del nostro vivere ci rivela di chi e di cosa ci prendiamo cura, ci rivela come investiamo la nostra libertà, ci rende capaci di bene.
La pace è incontro che richiede un movimento di uscita. Oltre il mercato dei pregiudizi e degli stereotipi che cataloga culture, religioni, paesi, popoli, territori, persone… con rassicuranti seppur false etichette, oltre questo c’è l’altro. Oltre il mercato del prodotto personalizzato sul consumatore che regola anche le relazioni, oltre c’è l’altro. Superficialità e genericismi ci preservano dall’incontro, ci illudono di comprendere e ci mantengono nella nostra integrità. Curiosità e stupore ci muovono all’incontro, tolgono le tinte monocromatiche e rivelano le differenze piuttosto che le diversità. Le realtà differenti non sono realtà diverse, queste si muovono parallele e si incontrano solo nello scontro, le prime si muovono nella reciproca conoscenza e procedono rendendo ragione di sé e arricchendosi di quel che differiscono. Realtà differenti sanno dialogare e confliggere, perché sanno di essere un punto di vista tra tanti, che non bastano a se stessi e che solo nell’incontro esistono. Educarci all’accoglienza e alla conoscenza delle differenze ci rende consapevoli della nostra identità, senza aver paura della nostra parzialità, educare le differenze ci rivela la nostra bellezza e la ricchezza delle unicità, ci rende capaci di bene.
Educarci: tirandoci fuori dalle nostre miopie e allargando lo sguardo all’altro, tirandoci fuori dalle nostre avarizie di tempi e di spazi e prendendoci cura della promessa e desiderando il bene, realizziamo la pace.
sr. Francesca Fiorese, direttrice Ufficio diocesano di Pastorale sociale e del lavoro