La nostra Diocesi è impegnata in questi mesi nella preparazione del cosiddetto Quarto tempo, il tempo che segue la celebrazione dei Sacramenti nel cammino dell’Iniziazione Cristiana. Circa 80 comunità parrocchiali saranno impegnate in questa tappa dal prossimo anno pastorale. In queste settimane (inizio marzo 2017) è stata presentata la guida per l’accompagnamento dei ragazzi. Vorremmo rileggere alcuni elementi di questo strumento che riteniamo punti di forza per la sfida di educare alla carità.
- Le relazioni al centro. Il Quarto tempo è chiamato “Tempo della fraternità”. La dimensione fraterna, la cura di relazioni capaci di esprimere il familiare sono l’elemento che connota l’intero percorso. La carità intesa come forma relazionale che assume la fede quando si incontra con la realtà degli altri ha piena cittadinanza in questa connotazione.
- L’attenzione alla dimensione di gruppo. Durante la preadolescenza il gruppo e i pari acquisiscono sempre più peso e conquistano potere nelle dinamiche di scelta, identità, espressione di ogni ragazzo. La proposta del Tempo della fraternità è una proposta che si vive in gruppo. Proprio la vita del gruppo, con le sue fatiche e le sue sorprese, offre continue occasioni educative per chi accompagna i ragazzi nell’allenarsi a far propri atteggiamenti di carità.
- L’importanza delle esperienze. La Caritas, investita della meravigliosa e difficile sfida di educare alla carità, ha nel suo dna la convinzione che non si può educare solo con le buone parole. Servono i fatti, da qui il termine “pedagogia dei fatti”. Il Tempo della fraternità, in stretta analogia, scommette con forza su un concetto simile: l’esperienza. Non si può educare alla fede se non si incontra la realtà, se non si vivono situazioni che mettono in gioco tutte le dimensioni dell’umano (testa, cuore, mani). Le esperienze sono “fatti” vissuti in prima persona. Le esperienze generano materiale umano (sentimenti, domande, dubbi, ragionamenti, reazioni, …), gli ingredienti fondamentali dell’educazione e dell’accompagnamento. Le esperienze che educano alla fede sono quelle esperienze in cui si vive, si sperimenta, si agisce la carità.
- La necessità della verifica. Non c’è educazione se non c’è rilettura. Pedagogia dei fatti non vuol dire solo fare. C’è bisogno di un tempo in cui fermarsi, guardare indietro, rileggere il materiale umano emerso e impastarlo. La guida del Tempo della fraternità sottolinea con forza questo aspetto. L’educazione alla fede e alla carità è anche educazione all’interiorità: riuscire a dare un nome a ciò che si prova, esplicitare pensieri e sentimenti, collegare emozioni con spiegazioni possibili, dare un senso narrativo a quanto fatto, visto e vissuto.
- La responsabilità comunitaria. L’educazione alla carità non è una faccenda privata tra ragazzo e accompagnatori/catechisti. L’educazione alla carità chiama in causa la comunità tutta, con le sue scelte, le sue testimonianze, il suo stile, le espressioni grandi e piccole delle relazioni che la costituiscono. Se la carità è costitutiva della fede, deve essere visibile, tangibile, riconoscibile nella pratica delle comunità di fede. Nel concreto la guida suggerisce una doppia attenzione:
- la condivisione dell’impegno educativo (come progettazione e come realizzazione) a partire dagli organismi di comunione, per evitare il rischio delega e solitudine;
- la proposta di servizi svolti dai ragazzi all’interno della comunità, per alimentare scambi, incontri, relazioni che rendano concreta e tangibile l’esistenza di una comunità educante.
Questi cinque elementi possono aiutare ad accompagnare in un cammino che sia significativo nella particolare fase della preadolescenza.
Giorgio Pusceddu, Caritas Padova