Ogni studente porta a scuola la sua storia, la sua vitalità, il suo desiderio di futuro.
Ogni volta che la scuola sa leggere e sa sintonizzarsi su questi aspetti, il percorso scolastico sarà sicuramente efficace. Ogni volta che la scuola non interseca queste dimensioni, il pericolo è quello dell’insuccesso. E rispetto a esso, c’è la possibilità di minimizzare o addebitare al solo studente, alle sue condizioni di vita e condizioni educative, la responsabilità del fallimento.
Non s’intende negare il peso delle variabili economiche, educative e sociali nel percorso formativo, ma si afferma che un’attenzione solida nei confronti dello studente ne può far scaturire delle possibilità di evoluzione.
Parallelamente, va considerata la complessità del sistema scolastico e la difficoltà di “farsi prossimo” allo studente da pare del docente chiamato ad accompagnare un gruppo molto numeroso e molto variegato al suo interno. Se il docente si limita a registrare la sua impotenza rispetto allo studente, non riconoscendola, ma attribuendola allo studente o alle sue condizioni familiari e sociali, si delinea una povertà che non è solo della famiglia o del contesto sociale, ma pervade la scuola stessa e la configura non solo come incapace di fronteggiare la povertà educativa, ma come agente di povertà educativa.
La povertà educativa è tutto ciò che limita la piena realizzazione di ogni bambino e ragazzo e la Convenzione ONU per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza (1989) lo chiarisce agli articoli 28 e 29, impegnando gli stati a sostenere i processi educativi nel rispetto della «dignità del fanciullo in quanto essere umano». È così profondo l’invito per ogni educatore ad aver cura della formazione di ogni bambino che nessuno deve arrendersi all’impotenza e diventa indispensabile che la comunità civile si interroghi e si senta coinvolta. L’educatore che non trova risorse all’interno della struttura in cui opera, porta la domanda, sollecita la solidarietà sociale, partecipa alla costruzione di reti di solidarietà.
In questi anni in cui la scuola e i servizi sociali raccontano i bisogni dei bambini e la necessità di rispondervi, stanno fiorendo molte realtà di doposcuola, sostenute dall’ente locale, dalla Caritas, dal sindacato e da altri gruppi di volontariato; sono l’espressione di una cittadinanza attiva che si rende disponibile a camminare al fianco dei bambini per sollecitare il loro sviluppo avendo cura della loro dignità e valorizzando il passo che sono capaci di tenere rispetto alle relazioni e all’apprendimento.
Nella mia esperienza, l’istituto scolastico del territorio dà valore e si confronta con i volontari del doposcuola: si condividono le necessità dei bambini e i percorsi possibili. All’impegno della scuola, della famiglia, delle altre agenzie educative coinvolte e, in alcuni casi, dei servizi sociali, si aggiunge quello del volontario del doposcuola che, in un rapporto molto più disteso e più confidenziale, guarda al compito di apprendimento sollecitando le abilità necessarie per affrontarlo. Lo studente non è teso alla prestazione, ma alla possibilità della comprensione, non è succube dei suoi limiti (attenzione, motivazione…), ma accompagnato a reggere la fatica dell’impegno. Il doposcuola può contribuire al grande compito dell’educazione che è quello di permettere a ogni bambino di fiorire in umanità, competenza e relazione e di realizzare i propri sogni.
Un frammento della storia di Sara (questo è il nome che potendo, si sceglierebbe), ci può raccontare il senso della sua esperienza di doposcuola: lei è una migrante di seconda generazione, a casa sua si parla un italiano della quotidianità molto semplice e si vive con molta frugalità. Sara ci tiene tantissimo alla scuola, ma la comprensione di un testo scritto implica una decodifica accurata che a volte la fa desistere. L’accompagnamento del doposcuola si concentra su questo aspetto e sull’incoraggiamento. Si ottengono buoni risultati e le verifiche scritte lo testimoniano. L’imbarazzo nel servirsi della lingua dello studio nel colloquio orale, fa sì, però, che lei faccia “scena muta” nelle interrogazioni. Il confronto con la scuola consente di delineare la successiva tappa da raggiungere: comunicare oralmente la conoscenza acquisita. E Sara, con gioia sua, dei suoi insegnanti, dei suoi compagni e anche dei volontari del doposcuola, arriva ad argomentare davanti al gruppo classe.
Il doposcuola non è stato solo il luogo in cui si è fatto il compito, ma il luogo in cui si è permesso a Sara di costruirsi un’abilità necessaria al suo impegno di studente.
La povertà educativa non è dello studente, ma nell’incapacità della comunità educante di delineare i supporti necessari l cambiamento. L’intreccio fra le reti istituzionali e le reti di volontariato, possono attivare spazi di evoluzione, di vitalità, di dignità per tutti i bambini e gli adolescenti
Mariassunta Nichisolo, volontaria doposcuola