Dedicare la propria vita al Signore nel servizio pastorale della propria Chiesa chiede di mettere a disposizione tutto il proprio essere, la passione, l’intelligenza, l’ascolto, la pazienza… In una parola: noi stesse, in tutto e per tutto. È indubbio che, nel momento in cui si investe tutta la vita per il Vangelo, lo si fa in quel modo peculiare di cui ciascuna è portatrice. Si può parlare di “accento femminile” nel momento in cui ognuna di noi riconosce quella particolarità che la rende unica, come donna e come consacrata lì dove vive il proprio servizio, e che nel contempo accende una risonanza nuova, capace di arricchire, evidenziare, approfondire l’armonia della testimonianza che già si sviluppa nella nostra Chiesa. Siamo nella pastorale ordinaria delle parrocchie, nella pastorale vocazionale e scolastica, nella catechesi, nella formazione, in alcuni casi il nostro luogo di lavoro è il luogo “ordinario” di pastorale, per esempio nell’ambito sanitario o nella scuola, e potremmo continuare.
La domanda quindi diventa: come ciascuna di noi, nel proprio ambito pastorale, porta questa risonanza particolare e quali sono i suoi tratti?
Proviamo a mettere insieme solo alcune riflessioni.
Dentro alla dinamica del servizio a quel Gesù Cristo che non solo ha accolto le donne come discepole, ma che le ha anche inviate come prime annunciatrici della risurrezione, la prima risonanza è quella della Pasqua. Un annuncio dentro a una quotidianità spesso difficile, sofferta, carica di domande da non eludere, da accogliere nell’ascolto e nel silenzio, ma anche da rileggere alla luce di Cristo risorto, in quella stessa primizia del mattino di Pasqua. Il nostro essere nel mondo del lavoro, con tutta la complessità di questo tempo, ci fa entrare in punta di piedi dentro a questa quotidianità, accogliendo storie, tessendo relazioni, ponendoci accanto alla sofferenza, portando la speranza anche nei luoghi più lontani o inconsueti, a volte addirittura fino all’ultimo respiro di una vita dimenticata – ma non da Dio – in una stanza di ospedale o tra i letti di una casa di riposo.
Un’altra risonanza è quella bella, profonda, prorompente della Parola. Ci costringe ad andare alla ricerca del suo senso profondo per il nostro essere donne oggi, la sua capacità di toccare nell’intimità l’esperienza di reciprocità, di accoglienza, di maternità che ci contraddistingue. È così che negli ambiti in cui ci troviamo a spezzarla diventa Parola viva capace di declinarsi in modalità nuove, delicate ma anche appassionate, intrise delle nostre stesse vite. È una risonanza che fa la differenza quando incontra la vita di altre donne, diventando motore per avviare cammini, ricerche di fede, domande vocazionali.
La terza risonanza è quella della cura. La cura della persona, che si fa cura educativa in ambito scolastico, facendo incontrare realtà diverse, costruendo ponti, lavorando perché anche la scuola diventi luogo generativo di fede e di esperienza ecclesiale. Ma anche una cura che passa attraverso i particolari. L’esteriorità si fa espressione di un’interiorità che vuole farsi prossima: curare un ambiente, una lectio, un incontro, una celebrazione, un ritiro… significa prendersi cura dell’incontro tra quelle persone che ne faranno esperienza e Dio stesso. La cura è anche quella del gesto, della telefonata, del ricordo nella preghiera, del farsi carico di tante richieste, situazioni, vite che chiedono, silenziosamente o facendo rumore. La cura è portare dentro di noi e custodire, meditare, rimanere nella stessa fatica per partorire una nuova vita.
Il nostro essere donne, diverse tra noi ma chiamate insieme al servizio pastorale diocesano, ci chiede di renderci sempre più consapevoli di noi stesse e della nostra chiamata: solo così possiamo essere pienamente a servizio di tutta la Chiesa.
Manuela Riondato, collaboratrice apostolica diocesana