Il concilio Vaticano II dischiude per le donne cattoliche nuove prospettive di più attiva e consapevole partecipazione alla vita ecclesiale. Il cambiamento tocca in primo luogo il riconoscimento di soggettualità: si aprono spazi di servizio a tutti i livelli nella vita pastorale, con innumerevoli ministeri di fatto radicati sul battesimo, ma soprattutto nella chiesa risuona la parola delle donne, una parola competente, autorevole, pubblica. Essa risuona non più solo come parola di educazione e testimonianza tra le mura domestiche o in monasteri e conventi, ma viene pronunciata nei luoghi della vita delle comunità cristiane, dalle parrocchie agli uffici diocesani, dagli organismi nazionali ai contesti formativi delle associazioni. Per le donne con il concilio si aprono le porte delle università pontificie: religiose e laiche possono acquisire gli strumenti per una lettura critica della Scrittura, per la comprensione della Tradizione e per l’elaborazione teologica, in tutti quei campi fino ad allora riservati ai soli chierici, maschi. Le donne acquisiscono così le “parole per dirsi” come credenti e le “parole per dire” la fede, il mistero di Dio, la chiesa.
La storia della Chiesa aveva registrato anche nel passato la parola, per certi aspetti “inaudita”, di donne straordinarie che avevano contribuito a plasmarne il volto e la prassi, soprattutto in alcuni momenti di crisi: le lettere di Caterina da Siena, gli scritti di riforma di Teresa d’Avila, le visioni sulla “renovatio” della Chiesa di Maria Maddalena de’ Pazzi, ma anche Mary Ward, Francesca Cabrini, e le tante altre che hanno aperto spazi pubblici di ripensamento della condizione femminile e più in generale della vita ecclesiale. Ma rimanevano casi eccezionali: con il concilio le donne contribuiscono a pensare la Chiesa nelle aule universitarie, nei centri pastorali, pubblicando libri, articoli, scrivendo sui social. Una parola autorevole che “ri/pensa la Chiesa” e “fa Chiesa”.
In particolare, in questo movimento che coinvolge migliaia di donne nel mondo, vorrei ricordare la parola di quelle teologhe che insegnano ecclesiologia e ministero ordinato (a iniziare dalla decana delle teologhe italiane, Cettina Militello) e la parola pronunciata dalle donne nei sinodi, diocesani e nazionali, in particolare, senza dimenticare il Sinodo per l’Amazzonia che nella fase di ascolto ha coinvolto più di 40.000 donne e ha visto a Roma 36 tra esperte e uditrici partecipare al Sinodo dei vescovi. Oggi abbiamo una sottosegretaria al Sinodo, suor Nathalie Becquart, già responsabile nazionale della Pastorale giovanile in Francia, che lavorerà sul tema della sinodale ecclesiale.
Nel pensare la Chiesa le donne offrono un contributo specifico. Prima di tutto mettono in primo piano ciò che di solito viene sottaciuto, o dato per ovvio: la chiesa di Gesù è “chiesa di donne e uomini”. In questo orizzonte le donne richiamano i cambiamenti necessari, perché la prassi ecclesiale sia segnata da quella uguaglianza in dignità e da quella giustizia nelle relazioni che è rispondente alle parole di Gesù e al vangelo del Regno.
In secondo luogo, le donne sono state considerate per secoli “l’altro” per eccellenza: questa prospettiva, nel pensare la Chiesa, rende sensibili al valore della interdisciplinarità, all’apertura ecumenica, all’apporto molteplice delle culture.
In terzo luogo, le teologhe apportano nei processi interpretativi il richiamo a metafore che nascono dall’esperienza specifica delle donne – la gestazione, il parto, l’allattamento, la cucina, la cura dei piccoli –, metafore preziose quelle femminili per parlare di Chiesa (madre, sposa), ma le teologhe avvertono anche che si tratta di immagini da cui non si devono dedurre ruoli codificati o indebite aspettative di genere.
Infine, dalla recente ricerca delle ecclesiologhe viene consegnata alla Chiesa un’immagine preziosa, che può orientare in modo evocativo i passi di una necessaria riforma ecclesiale: la Chiesa è come un tavola di cucina, dove si condivide come famiglia conversazione, affetto e cibo, dove nessuno è volto anonimo e per ciascuno è preparato un posto.
Serena Noceti, teologa