IL VERDETTO
di Richard Eyre
drammatico, 105min
Giudice molto apprezzato per la correttezza e la scrupolosità con cui svolge il proprio ruolo, Fiona Maye deve ora affrontare un caso piuttosto delicato. Il giovane Adam Henry, affetto da leucemia, deve sottoporsi a una trasfusione di sangue che potrebbe salvargli la vita. Adam, però, è deciso a seguire gli insegnamenti dei genitori, Testimoni di Geova, e rifiuta l’intervento…
Un giudice dal carattere rigoroso, una donna abituata a rispettare le regole della professione anche a costo di mettere la vita pubblica davanti a quella privata (la situazione con il marito Jack rischia di deragliare): così si presenta Fiona quando il calendario delle udienze le pone di fronte il caso di Adam. Un ragazzo ancora minorenne che appare pronto a seguire il volere dei genitori, rifiutando la trasfusione di sangue che potrebbe salvargli la vita. Scatta qualcosa in Fiona che la spinge ad andare in ospedale, incontrare direttamente Adam e sentire le sue motivazioni che si spingono al confine tra vita e morte. La sceneggiatura appare come divisa in due dalla decisione che Fiona prende dopo la visita. Anzi, il cuore del problema sembra spostarsi dalla riflessione sul senso della confessione religiosa a quella su un acerbo, giovanile, non ancora del tutto maturo sentimento di amore di Adam verso Fiona. Così si gioca la ribellione del giovane, che reclama libertà e indipendenza per poter stare vicino alla donna, al punto di chiederle di accoglierlo in casa sua. Un amore impossibile, si direbbe, che tuttavia procede di pari passo con l’amore per la vita lasciata quando sembra che tutto il resto non abbia senso. Forse il nodo drammaturgico evidenziato da Ian McEwan, autore del romanzo, era proprio questo: mettere di fronte la vita che sta per finire e la vita che vuole risorgere per evidenziarne l’impossibile punto d’incontro.
Dal punto di vista pastorale il film è da valutare come complesso, problematico e adatto per dibattiti (dal giudizio della Commissione nazionale valutazione film della CEI).
PIENA DI GRAZIA. La storia di storia Maria, la Madre di Gesù
di Andrew Hyatt
drammatico, 85min
Si ripercorrono gli ultimi anni della vita di Maria, madre di Gesù Cristo, con particolare attenzione sugli sforzi profusi per aiutare la nascente Chiesa cristiana…
All’interno della lunga e densa storia del cinema ad argomento religioso, è il primo film che guarda ai fatti dal punto di vista di Maria, anzi più precisamente si concentra sull’ultimo periodo della sua vita. Con un tema del genere, la formazione del regista acquista un’importanza determinante. Conviene allora dire che Andrew Hyatt, l’autore, è uomo di fede e ha dichiarato: «Credo fermamente che “Full of Grace” sia un film diverso. È più come guardare una preghiera, e meno come guardare un film». Forse sono le parole più opportune capaci di fornire la giusta chiave per accostare un’opera così concentrata su fatti conosciuti eppure in grado di suscitare dibattiti, cambi di prospettiva, reazioni. Perché quella alla quale assistiamo è ancora «la più grande storia mai raccontata», ma il cinema ha una tale forza affabulatoria in grado di scardinare certezze e sicurezze. Così qui il racconto acquista a poco a poco un andamento che trascorre dalla comprensione alla delusione, all’invito, alla fiducia in una successione verbale e, mentre vuole evitare trappole e trasalimenti, lascia che la parola si conquisti lo spazio importante e decisivo che merita. Ecco allora che Maria torna di nuovo a proporsi come Colei che riprende in mano l’eredità di Cristo, assume su di sé critiche e titubanze e invita ad aprire il cuore alla speranza del futuro. Quella di Hyatt è una regia fatta di implosioni esistenziali. Il rapporto tra Maria e gli apostoli avviene a un livello di frasi che danno sospensione e insieme conforto. Nella logica del ragionamento, Maria esorta a combattere le eresie avanzanti e a tornare alla semplice Parola evangelica. Si può dire che il film evita eccessi di dottrina e si pone come un testo adatto a comprendere certi approcci religiosi in atto in molte comunità americane. Dal punto di vista pastorale, il film è da valutare come consigliabile, problematico e adatto per dibattiti (dal giudizio della Commissione nazionale valutazione film della CEI).