IL VIAGGIO DI FANNY
di Lola Doillon
genere: drammatico, 94′
La tredicenne Fanny Ben Ami e le sue sorelle sono affidate dai genitori a una delle colonie francesi destinate a proteggere i minori dai rischi della guerra. Conoscono altri coetanei e, quando i pericoli dei rastrellamenti nazisti si fanno più intensi, sono costretti alla fuga. Fanny assume il ruolo di guida del gruppo.
È stata la produttrice Saga Blachard a individuare il romanzo da cui è tratto il film. L’autrice de Il viaggio di Fanny, Fanny Ben Ami, vive oggi a Tel Aviv e Lola Doillon ha voluto incontrarla per conoscere meglio la storia dei genitori e delle due sorelline. Il senso della realtà è dentro ogni passaggio della storia, insieme a un taglio narrativo di crescente paura e disagio. Anche laddove, per completezza di informazione, il copione è stato allargato alla preenza di personaggi della Resistenza, la regia riesce a non forzare mai il tono oltre il necessario: mostrando ogni passaggio come compiuto dai bambini stessi. Una storia, come si dice, girata ad “altezza di bambino”, ossia avendo ben presenti le psicologie dei piccoli e le loro reazioni davanti a pericoli che trascendono la loro età. Lungo questo percorso che mette in evidenza paura, timori, tremori, che Fanny è chiamata ad attutire facendo ricorso a coraggio e volontà, si muove la storia spinta opportunamente anche sul versante dell’avventura: così infatti, i ragazzini vivono ciò che accade filtrato dalle loro reazioni infantili. Il risultato è un insieme di realtà e finzione azzeccato e pertinente. Il climax finale con il gruppetto che corre a perdifiato verso il confine svizzero si scioglie in un respiro forte e profondo. Giusta conclusione (una sorta di lieto fine) che non stona e manda i piccoli spettatori a casa con un sollievo e un segnale di speranza. Dal punto di vista pastorale, il film è da valutare come consigliabile, problematico e adatto per dibattiti (a cura della Commissione nazionale valutazione film CEI).