Il consenso scientifico è pressoché unanime nel considerare la gravità del riscaldamento del sistema climatico, che negli ultimi decenni ha contribuito a determinare un costante innalzamento del livello del mare e l’aumento della desertificazione e di eventi meteorologici estremi.
Secondo uno studio condotto dall’Università di Bristol ed Exeter oltre trecento specie, tra mammiferi, uccelli, e vegetali si stanno spostando dall’equatore verso i mari polari a causa del riscaldamento dei loro habitat.
L’avanzare del deserto e la furia delle inondazioni porta a migrare anche intere popolazioni, verso le grandi città e verso altre terre.
Abbiamo sufficienti mezzi per rilevare che tra le cause della crisi climatica e ambientale ve ne sono anche di riconducibili all’azione umana.
Il nostro sistema di produzione necessita di uno smisurato consumo di risorse non rinnovabili e non ha sviluppato la capacità di assorbire e riutilizzare rifiuti e scorie.
Attraverso uno sconsiderato sfruttamento della natura rischiamo di distruggerla e di essere a nostra volta vittime di questa degradazione.
Un ambiente degradato e depredato, inquinato e intossicato non può che innescare lotte per la sopravvivenza. Alle guerre per l’accaparramento dei giacimenti e dell’acqua si sommano le tensioni sociali date dai flussi migratori che mettono sotto pressione la tenuta istituzionale, economica e sociale dei paesi sviluppati.
Le rotte per terra e per mare contano più morti dei campi di battaglia e i migranti detenuti nei centri di accoglienza patiscono torture e vengono uccisi come nei campi di prigionia. Come non contiamo i cadaveri dei poveri, così non contiamo i morti a causa di malattie causate da agenti inquinanti, né contiamo i bambini non nati a causa della sterilità data dall’assimilazione di sostanze nocive derivanti dagli scarti delle nostre fabbriche e dal comparto agroalimentare. Stragi silenziose, ma quotidiane.
Nel 2004 mentre riceveva il premio Nobel per la Pace, riconosciutole per avere contribuito allo sviluppo sostenibile, alla democrazia e alla pace, l’ambientalista e biologa keniota Wangari Maathai, disse:
«Non ci può essere pace senza sviluppo sostenibile e non ci può essere sviluppo senza uno sfruttamento sostenibile dell’ambiente. La protezione dell’ecosistema dev’essere considerata un mezzo per garantire la pace, in Paesi dove la scarsità delle risorse genera inevitabilmente instabilità politiche e sociali».
Vi è una stretta relazione tra ambiente e pace. Uno studio dell’IUCN (Unione internazionale per la conservazione della natura) del 2020, evidenzia che il cambiamento climatico e gli impatti dei disastri ambientali contribuiscono ad aumentare le dinamiche di accaparramento delle risorse e la violenza come mezzo per mantenerne il controllo.
Le questioni ambientali sono una sfida globale da cui dipende la convivenza pacifica dell’umanità. Senza uno sviluppo sostenibile si può solo morire in pace.
suor Francesca Fiorese, direttrice Ufficio diocesano di Pastorale sociale e del Lavoro (Padova)