Ogni Chiesa, sfogliando le pagine della sua storia, riconosce tra i propri figli una schiera di uomini e donne che hanno vissuto santamente e con grande impegno la sequela del Signore. Questa loro storia è particolare, circostanziata: padovana, milanese, parigina, toletana, africana… si è svolta in quel luogo, in quell’abitazione, in quel convento… si è dipanata in quel secolo, in quella cultura, tra quelle popolazioni…
Ogni Chiesa diocesana ha così costruito, nel corso della sua vicenda di fede, un proprio calendario di santi che potremmo definire domestico, “di famiglia”, realizzando in tal modo una particolare relazione tra il tempo e queste figure straordinarie: il 29 giugno si è legato indissolubilmente con i santi Pietro e Paolo, apostoli; il 13 giugno con sant’Antonio di Padova; il 5 febbraio con sant’Agata a Catania; il 4 ottobre con san Francesco d’Assisi… l’elenco sarebbe sterminato.
Nei Santi del Calendario proprio di una Diocesi inoltre, vita, tempo e spazio si fondono per formare una sola realtà, quasi santificandola per mezzo di questi modelli di vita cristiana con i quali è stata a contatto. Ciò indica che il Vangelo, lungi dall’essere interpretabile come un’ideologia, non corrisponde a delle idee o a dei principi astratti, ma è stato rivelato perché uomini e donne, così come ognuno di noi, possano viverlo… Non si tratta, allora, di una banale “localizzazione” della fede, né di una religiosità da “piazzare” in mercati non ancora esplorati: la prossimità geografica e temporale di questi uomini e donne abitati dalla santità, corrisponde alla vicinanza tra Dio e l’uomo realizzatasi in Cristo Gesù. Tutti i santi sono in qualche modo “locali”, non semplicemente perché san Lorenzo era romano o santa Chiara era d’Assisi o san Carlo di Milano, ma perché la vicenda della loro santità non poteva realizzarsi se non in un luogo concreto, attorno a delle persone concrete, ponendosi a servizio di necessità concrete e questo perché il Vangelo vuole continuare a diventare carne.
Il Centurione romano (cfr. Mt 8,5-13), il cui servo è terribilmente ammalato, si avvicina a Gesù, in quella città a lui così cara e nel territorio della sua vita pubblica: Cafarnao. Qui con umiltà profonda e grande generosità, chiede al Signore di guarire il suo servo; davanti a Gesù un pagano, soldato dell’Impero di Roma, che lavora in una popolosa città della Galilea, si apre alla grazia di una vita santa («in verità vi dico, presso nessuno in Israele ho trovato una fede così grande» Mt 8,10), restando dentro le pieghe di una concreta vicenda umana e, proprio dal quel luogo, a partire da quella condizione di una persona vicina a lui, prorompe con la sua maestosa professione di fede, la potenza delle cui parole attraversa le nostre anime ogniqualvolta un presbitero ci ostende la santissima Eucaristia prima della Comunione: «Signore, io non son degno che tu entri sotto il mio tetto, dì soltanto una parola e il mio servo sarà guarito» (Mt 8,8). A Cafarnao, a quell’ora, tra quei soldati, mescolato in quella folla, il Centurione ha avuto la forza di credere nel Signore Gesù, e, da uomo santo, egli ha scelto di amare e di farlo proprio per quelli di casa, dove il Vangelo è possibile, è familiare.
L’ordinaria interpretazione dei Calendari particolari di una Chiesa diocesana come series sanctorum e come assemblea celeste dei protettori di una città o di una categoria di persone, resta suggestiva e ricca di pietà cristiana ma insoddisfacente a comprenderne il senso pieno: i santi sono anzitutto uomini e donne concreti, persone con un nome, una data, un luogo di nascita, di vita, di azione, di santificazione… in questo senso se il Vangelo di Gesù Cristo ha come scopo proprio quello di rendersi vicino agli uomini, alla loro storia, i cristiani, da parte loro, impareranno a diventare santi amando Dio e i fratelli a partire da dove sono e con chi hanno a fianco… Una santità possibile e familiare!
don Gianandrea Di Donna, direttore Ufficio per la Liturgia