All’indomani di una nuova ripartenza in Africa approfitto con gratitudine di questo spazio per fare un bilancio di un’esperienza che mi ha permesso di vivere più a fondo la comunione con la Chiesa di Padova e con i poveri: quella di accompagnare spiritualmente gli “ospiti” delle basi di Conetta e di San Siro, iniziata con il mandato del vescovo Claudio a inizio 2017 e conclusa con la chiusura dei campi a fine 2018.
Vorrei prendere spunto da un testo che ha guidato questo progetto dall’inizio: il n. 24 di Evangelii Gaudium, che presenta i cinque verbi della chiesa in uscita: «La Chiesa “in uscita” è la comunità di discepoli missionari che prendono l’iniziativa, che si coinvolgono, che accompagnano, che fruttificano e festeggiano».
Prendere l’iniziativa: Il rischio di immobilismo davanti ai segni dei tempi è sempre attuale, quello di continuare come si è sempre fatto, senza lasciarsi ferire e cambiare da nuove presenze di fratelli e sorelle.
Questione di sguardo: Una parola che ci ha guidato è stata quella di guardare tutti con gli occhi di Gesù Cristo. Il progetto di inserimento nei campi e di accompagnamento non era immediatamente preoccupato da questioni politiche, e nemmeno serviva in primo luogo a “trovare delle soluzioni”. Ci siamo rifiutati di considerare delle persone, dei fratelli, come dei problemi, ma li abbiamo sentiti prima di tutto come figli di Dio da incontrare, con cui tessere relazioni. La prima indicazione del vescovo Claudio quando mi ha affidato il mandato andava proprio in questo senso: non preoccuparti di organizzare o di cercare spazi. La Chiesa di Padova vuole essere presente con uno stile umile e umanizzante presso i fratelli profughi e le comunità del territorio. Una concretizzazione del «vi siamo vicini» pronunciato alla messa di Giovedì Santo a Cona del 2016.
Coinvolgersi. Avvicinandosi alle persone esse assumono i tratti dell’umanità, delle loro individualità, e smettono di essere dei problemi, dei casi e dei numeri e questo è il primo passo per l’accoglienza a cui tutti siamo chiamati, non solo dando spazi abitativi (che rimangono simbolicamente importanti), ma anche spazi relazionali e, per chi condivide la nostra stessa fede, spazi liturgico-celebrativi.
Riflettendo su questo verbo mi vengono in mente due grandi marce, che hanno segnato il territorio tra novembre 2017 e gennaio 2018: la marcia per la pace diocesana, organizzata ad Agna e la marcia detta “della dignità”, di protesta contro le condizioni di vita del campo di Cona, che ha visto centinaia di ospiti, lasciare la base in direzione Padova e Venezia e che ha in effetti innescato il processo che ha portato allo svuotamento del campo di Cona e alla sua chiusura.
Coinvolgersi nel grido di pace che manifestano le persone scappate dai conflitti e dalle persecuzioni, il grido di giustizia rappresentato da coloro che hanno lasciato i loro paesi per cercare una vita più umana, maggiore dignità, la possibilità di aiutare le proprie famiglie di origine, nel grido di speranza di chi rischia la vita per cercare un futuro migliore. Coinvolgersi anche con un territorio che sentiva, più di ogni altro, la fatica dell’accoglienza, sacrificato sull’altare della convenienza politica.
Accompagnare. Dovrebbe essere sempre un accompagnare in uscita! Il gruppo Rinascita è nato dall’intuizione che per essere discepoli dobbiamo essere missionari, dalla disponibilità di alcuni amici di Cona e Bagnoli, dalla collaborazione dei missionari comboniani e dalla caparbia tenacia di una Isabel Bih, di origini camerunesi e da più di vent’anni in Italia, che tutti chiamano “mama”. Con questo gruppo abbiamo girato la Diocesi, da Arsié a Piove, da Este a Lughetto. In ogni celebrazione abbiamo assistito al miracolo del cambiamento degli sguardi: sguardi spesso scettici e a volte ostili che ci accompagnavano entrando in chiesa, o ci osservavano mentre pregavamo o ripetevamo i canti prima della celebrazione, si trasformavano in sguardi amichevoli, interroganti e molto spesso grati. In questo cammino una decina di giovani africani hanno ricevuto il battesimo, tra il 2018 e il 2019. Accompagnare è stato anche incoraggiare i generosi volontari della scuola di italiano nata nelle parrocchie di San Siro e di Pegolotte, accogliere l’amicizia dei parroci, tra cui ricordo don Stefano, don Raffaele e don Remo, condividendo, con i loro stili così diversi, la medesima preoccupazione per la loro gente.
Fruttificare: il Signore ci pressa ad accorgerci dei frutti, se rimaniamo in lui. Non sono frutti di conquista o di dominio, ma i processi iniziati e accompagnati. Un primo frutto è stato il coinvolgimento di tante famiglie per l’iniziativa di Aggiungi un posto a Tavola, prefigurata da una parrocchiana di Agna nel Natale del 2017 e sviluppatasi dopo la marcia per la pace, in cui invece di autocompiacerci per un evento ben riuscito, ci siamo chiesti “come possiamo continuare?”. Il frutto forse il più importante sono state le relazioni nuove, di rispetto e a volte di amicizia, che si sono create con tanti giovani e meno giovani delle basi, di ogni appartenenza etnica e religiosa.
Festeggiare: manifestare la gioia per le vittorie parziali, per i frutti portati, per l’azione del Signore nella nostra storia. Ogni domenica è stata una festa per noi, nelle diverse comunità, una gioia debordante, non superficiale, ma radicata nella fede nel Cristo Signore, vincitore della morte, in cui non ci sono più greci e barbari, ma in cui Egli è tutto in tutti.
Concludo con un grazie di cuore per il cammino di questi anni, alla mia comunità SMA-NSA di Feriole, al vescovo Claudio, alla Caritas diocesana e al tavolo di coordinamento per i richiedenti asilo, ai missionari e alle missionarie di altri istituti, al Centro missionario diocesano, ai parroci e gli amici della Bassa Padovana, alle parrocchie che ci hanno accolto, ai volontari, agli operatori dei campi e alle tante persone che mi hanno fatto il regalo della loro amicizia. Pace!
padre Lorenzo Snider, SMA