Quando la Chiesa prende in esame la questione dei giovani e la fede, l’ambito della liturgia non può essere isolato come fosse una questione a sé stante, come se riguardasse semplicemente il rapporto dei giovani con il rito… In tal senso molti studi sui giovani e la fede mostrano come sia insufficiente ripensare l’azione pastorale verso i giovani semplicemente individuando degli ambiti in cui coinvolgerli. Secondo una suggestiva definizione di Armando Matteo i giovani oggi sono una generazione incredula[1]: essa non si pone tanto contro Dio o contro la Chiesa, ma piuttosto si sta abituando a vivere senza Dio e senza la Chiesa.
Dobbiamo anche dire però che mentre il senso di appartenenza alla Chiesa cattolica è sempre più debole, questo non significa che nei giovani si sia perduto il senso di Dio. Per loro la fede è un orizzonte di senso, un sostegno affettivo-psicologico con cui sostenere l’esistenza, ispirare le scelte fondamentali, a volte non senza una certa deriva individualista… Dio e la fede sono presenti, talora raccolgono forti entusiasmi emotivi, anche se talora faticano a entrare nella concretezza delle scelte quotidiane.
Diventa necessaria allora un’altra considerazione: sebbene i giovani abbiano nel loro orizzonte Dio, la spiritualità, il riferimento alla trascendenza comprendendone l’importanza, tuttavia essi non ricevono questa eredità dagli adulti con i quali sembrano interrotti i dinamismi di trasmissione della fede.
Queste considerazioni, di orizzonte più ampio, ci spingono a guardare la questione della liturgia e i giovani superando le due tendenze più diffuse: quella che ritiene imprescindibile e prioritario educare i giovani alla liturgia, dovendoli iniziare a qualcosa che non appartiene loro; l’altra che chiede con insistenza l’adattamento della liturgia ai giovani, volendola sdoganare da fissismi rubricali perché essa sia vicina a loro e alla loro sensibilità. Si nota, infatti, sempre più nelle esperienze parrocchiali o nelle associazioni e movimenti, l’incremento di modelli celebrativi costruiti secondo due prospettive divergenti e talvolta in contrapposizione tra loro:
- quella di gruppi giovanili che, rifacendosi ad alcuni presbiteri o a gruppi ecclesiali o a particolari itinerari di spiritualità, si orientano a una riscoperta della purezza del rito, al canto gregoriano, alla cura della forma rituale, alla liturgia monastica, alle celebrazioni non parrocchiali, addirittura fino alle istanze che prediligono la forma straordinaria del rito romano secondo il Messale tridentino; questo fenomeno è molto diffuso in paesi secolarizzati come l’Inghilterra, la Francia, la Germania… la presenza non è irrilevante nemmeno in Italia. Si raccoglie da questi gruppi il bisogno che la liturgia non sia luogo di eccentricità, di “protagonismo presbiterale”, di catechesi prolungate, prediligendo invece il silenzio, la pacatezza, la ritualità in cui emerga maggiormente l’agire di Dio rispetto al protagonismo umano, l’attenzione alla spiegazione del rito e dei testi liturgici relativi, degli atteggiamenti che si richiedono per una celebrazione liturgica autentica; questi gruppi giovanili chiedono maggiore formazione liturgica nella catechesi, intendendo la liturgia come qualcosa che si riceve dalla Chiesa e che pertanto non è manipolabile. Gli innegabili valori presenti in questa prospettiva rischiano però di sminuire la dimensione ecclesiale del rito cristiano, spingendo verso una relazione esclusivamente personale tra l’uomo e Dio: l’immagine è quella di un giovane in ginocchio che ascolta la santa messa in silenzio e con grande devozione… La liturgia rischia di essere intesa come un’azione unicamente sacerdotale nella quale i fedeli sono presenti unicamente per ricevere i doni celesti, secondo una dinamica dell’offerta e della partecipazione solo interiori, senza che la dimensione esterna e visibile del celebrare mostri come tutti (cioè la Chiesa) nella liturgia – per ritus et preces – offrono se stessi a Dio, lo ascoltano, lo amano e compiono la sua volontà per imparare ad amarsi gli uni gli altri…
- altri gruppi giovanili, diversamente dai primi, rifacendosi anch’essi ad alcuni presbiteri o a movimenti o associazioni, si orientano alla liturgia intesa come una realtà da adattare e portare verso i giovani. Lo sforzo è quello di “creare” nella liturgia un habitat tale da far sentire il giovane a proprio agio: l’uso dello spazio, i canti, la diffusione sonora e strumentale, i gesti, l’uso della danza, l’uso della luce, la gestione della spontaneità, la “riformulazione” dei riti, dei testi, le abbreviazioni, l’uso della drammatizzazione rituale, gli atteggiamenti del corpo, il protagonismo e la creatività giovanile; anche in questa seconda tendenza si arriva, in alcuni casi estremi, fino alla teorizzazione di riti-drammatizzati privi di ogni riferimento al rito della Chiesa e ai testi propri, con forme di ibridismo celebrativo che più che essere descritto andrebbero guardato nei social della rete web… Gli innegabili valori presenti in questa prospettiva rischiano però, proprio come nell’altra prospettiva, di sminuire la dimensione ecclesiale del rito, spingendo verso una relazione esclusivamente collettiva tra l’uomo e Dio: l’immagine è quella di molti giovani che sono presenti alla santa messa con grande partecipazione e sonorità… La liturgia rischia qui di essere intesa come un’azione unicamente di tutti i fedeli presenti per ricevere i doni di Dio, ma secondo una dinamica dell’offerta e della partecipazione solo esteriore, senza che la dimensione interna e invisibile del celebrare mostri come anche il singolo debba avere uno spazio nella liturgia per offrire se stesso a Dio, ascoltandolo, amandolo e compiendo la sua volontà, per essere reso capace dalla grazia di amare i propri fratelli.
Le due vie manifestano, inequivocabilmente, che se la liturgia cristiana non tiene insieme la grazia e la libertà, lo spirito e il corpo, il visibile e l’invisibile, Dio e i fratelli, la Chiesa e l’individuo, rischia di perdere ogni riferimento all’origine e al fine ecclesiale di ogni rito. È interessante come in entrambi i casi, le derive siano in ordine a una perdita della piena comunione con la Chiesa, a una liturgia che “mi creo” come spazio della mia libertà – assoluta e sganciata da ogni rapporto con l’altro – in cui riesco a incontrare Dio. Non si tratta, evidentemente, di una rottura della comunione in senso dogmatico ma della creazione di una “zona franca” nella quale essere Chiesa, ma a modo mio…
La grande questione è quella del rapporto dei giovani con la Chiesa, sapendo che la Chiesa stessa ha ricevuto il mandato da Cristo di fare “questo” in sua memoria. La sfida è allora riscoprirsi tutti depositari del mandato di Cristo per il quale ciò che noi celebriamo non è né un “generico incontro intimo e spirituale con lui”, né un “momento di festa attorno a lui”. Il Signore Gesù ha affidato con autorità alla Chiesa di celebrare la sua morte, sepoltura e risurrezione: la Chiesa, fedele a questo mandato, ha generato lungo la sua storia, i segni visibili di questa vivente memoria pasquale. La liturgia cristiana pertanto non celebra “qualsiasi sentimento religioso” ma invita gli uomini all’unico banchetto pasquale dell’Agnello da cui sgorga la salvezza…
In tal senso la via da percorrere non è né quella di portare i giovani a fare le cose che si devono fare nella liturgia, né quella di concedere loro di fare le cose che gli diamo il permesso di fare nella liturgia. I giovani non sono “davanti” alle nostre parrocchie, associazioni o movimenti, essi sono – come ognuno di noi – discepoli del Signore Gesù, ascoltano la sua voce e lo seguono. Le forti istanze con cui i giovani ci spingono a esser attenti al soggetto, alle relazioni, agli affetti, all’entusiasmo, chiedono alla Chiesa di assumere, di purificare ed elevare tutto ciò, per renderlo – armonicamente e in spirito di profonda comunione – l’unica voce della Chiesa che canta e celebra il suo Salvatore. La conversione che ci è chiesto di porre in atto è quella di condurre il nostro celebrare sempre più verso un’esperienza di Chiesa, di comunione, e non di settore. Superando le messe per i bambini, per i giovani o per gli anziani, e recuperando – proprio dalla forza dell’entusiasmo giovanile – il valore di una fede che si consegna agli altri celebrandola insieme, e cantando a una sola voce l’inno della sua lode.
don Gianandrea Di Donna, Ufficio diocesano per la Liturgia
[1] A. Matteo, La prima generazione incredula. Il difficile rapporto tra i giovani e la fede, Soveria Mannelli (CZ), 2010.