Ricordo che, quand’ero bambino, il sabato pomeriggio non era sabato se non si andava a confessarsi dopo il catechismo… Tanti, davvero tanti, andavamo in chiesa dove tre quattro preti erano seduti tra i banchi, aspettando che noi bambini andassimo – in un silenzio rotto solo da qualche chiacchiericcio – a inginocchiarci sulla sedia da chiesa, quelle che si voltano e hanno l’inginocchiatoio… Potrei anche tentare di ricordare l’entità dei miei peccati, il loro genere e le loro circostanze, ma mi sembra molto più utile ricordare che a quel tempo sapevo – con la semplicità di un bambino – di essere lì per chiedere al Signore Gesù di perdonare i miei peccati… Poi tutti noi, alzando prima un ginocchio e poi l’altro, andavamo al Crocifisso a “far la penitenza” per poi correre velocemente al campetto da calcio o ai giochini del parco dell’asilo delle suore…
Anche i ragazzi della nostra Chiesa di Padova, lungo l’itinerario di Iniziazione cristiana che dal fonte battesimale li conduce, dopo averli crismati con il santo olio, alla mensa del Corpo e del Sangue di Cristo, sono invitati a celebrare la loro prima penitenza all’inizio della Quaresima (o quella che precede la Pasqua in cui riceveranno i sacramenti oppure – a discrezione del parroco, dei catechisti e dei genitori – nell’anno precedente); pare, allora, che entro questo itinerario di iniziazione si aggiunga “un altro sacramento”, un’altra “tappa”, un altro passaggio in cui diventa necessario spiegare ai ragazzi a cosa “serva” e perché riceviamo questo sacramento… E, se da una parte vorremmo che il desiderio del perdono del Signore fosse quasi un istinto spirituale – come al tempo in cui per i bambini era naturale andare a confessarsi il sabato per “chiedere perdono” a Gesù – dall’altra registriamo la profonda crisi della celebrazione di questo sacramento non solo per i ragazzi ma anche per gli adulti, compresi coloro che hanno una serena vita di fede. Oggi per un cattolico, il sacramento della Penitenza è divenuto un’occasione “straordinaria”, cui si ricorre in ragione di eventi singolari come la morte di qualcuno, il battesimo di un figlio o di un nipote, il proprio matrimonio, un momento di difficoltà o di sofferenza personale. Il colloquio spirituale con un presbitero si ricerca, ad esempio, per “prepararsi” a un evento personale o familiare, o per ricevere “sostegno” in un momento di prova, di conflitto, di dubbio, prima di fare il padrino, il testimone di nozze, prima di sposarsi o di partecipare alle esequie di un familiare… Sembra finito il tempo in cui la penitenza per i propri peccati e il relativo perdono di Dio erano una “terapia di base”, uno stile di vita spirituale cui ricorrere costantemente, goccia a goccia. Se, d’altro canto, esiste ancora la ricerca di questo sacramento è perché, in certi snodi di vita, un adulto o un giovane sentono la necessità di ricorrere alla consolazione o hanno bisogno di sostegno o percepiscono che solo la grazia, purificando e rinnovando l’uomo, lo rende degno di qualche evento o di qualche responsabilità nella Chiesa, nelle relazioni personali, nella testimonianza della fede.
Questa rinnovata sensibilità più che essere mal sopportata, credo abbia bisogno di essere evangelizzata; sembra cioè che la cura pastorale con cui ci dedichiamo ad accompagnare ed educare nella fede i ragazzi del cammino di Iniziazione cristiana, abbia bisogno di essere modulata su due tempi: il tempo che precede la celebrazione della cresima e della Prima Communio e il tempo che segue la celebrazione dei sacramenti. Nel tempo che precede il compimento dell’Iniziazione cristiana, i ragazzi vanno iniziati (come lo riceviamo da una lunga tradizione della Chiesa), alla scoperta del sacramento della penitenza: si tratta di condurli a conoscere quelle pagine del Vangelo che ci rivelano l’esistenza del peccato dell’uomo e il perdono inesauribile di Dio; da qui il ragazzo potrà cominciare ad abituarsi a celebrare la penitenza, intuendo che Dio si prende cura di noi attraverso la mediazione della Chiesa. Si tratta di creare quasi l’habitus spirituale alla misericordia di Dio. Potrebbe essere utile raccogliere dalla tradizione pastorale della Chiesa la scelta di dedicare “un pomeriggio” alla settimana (l’esempio del vecchio “sabato delle confessioni”) con questo scopo, sapendo che i ragazzi sono iniziati anche da quelle che, con linguaggio attuale, potremmo definire le buone prassi. Nel tempo che segue il compimento dell’Iniziazione cristiana (che chiamiamo Tempo della Fraternità), l’accompagnamento dei preadolescenti dovrebbe dedicarsi non solo alla scoperta delle nuove dinamiche personologiche e affettive; si potrebbe, con autentico spirito pastorale e mistagogico, condurre pian piano questi ragazzi ad ascoltare le loro nuove esigenze esistenziali, a cominciare a percepire la necessità di sottoporre la propria vita al vaglio del Vangelo, a riconoscere i piccoli e grandi egoismi di cui sono capaci, a non lasciarsi travolgere dalle prime esperienze di turbamento, di prova, di conflitto… Se nasce il bisogno di essere sostenuti e illuminati da qualcuno, questi potrebbe essere il proprio parroco, o comunque un presbitero che non solo aiuterà a illuminare i primi passi della crescita di una persona ma anche aiuterà ad alzare lo sguardo verso Cristo (“aiutare” dovremmo interpretarlo come suscitare un atteggiamento spirituale nuovo e che non è spontaneo nella sensibilità del preadolescente!) e riconoscere nel suo perdono la via maestra che conduce l’uomo alla vita piena. è un’altra buona prassi con cui rinnovare l’Iniziazione cristiana non tanto a partire dai ragazzi ma da noi adulti.
don Gianandrea Di Donna, direttore Ufficio diocesano per la Liturgia e docente di Liturgia