La parola estate deriva dal latino aestus che significa calore. Ciò che caratterizza l’estate è, come le altre stagioni del resto, una particolare temperatura. Riflettere alla luce della fede sull’estate è una simpatica provocazione che ci porta a chiederci quale significato teologico possano avere il meteo, una stagione, un arco di tempo cronologico. La dimensione del tempo è, infatti, un po’ carente nel nostro pensare e vivere la fede. Sembrano avere più fascino modi di pensare e parlare che apparentemente descrivono le cose togliendone la temporalità. «Dio è amore», anche questa densa affermazione potrebbe correre il rischio di dimenticare il tempo, cioè le mille sfumature della storia, i progressi e i regressi, gli sviluppi e le perdite, le innumerevoli variabili d’intensità. La cronologia è semplice da definire, ma è la kairòlogia, cioè la capacità di cogliere la specialità del tempo, cioè il kairòs, la sfida più avvincente.
Vorrei sottolineare tre altalene tipiche dell’estate che oscillano nella manciata di settimane che va dall’allungarsi delle ore di sole all’inizio della loro diminuzione.
Innanzitutto, calore e raffreddamento. Il calore possiede un grande aspetto relazionale: tanto che parliamo di rapporti caldi o freddi. L’estate si connota subito come un tempo che favorisce le relazioni, gli incontri. Il freddo porta più a chiudersi, il caldo invece ad aprirsi. Il calore scioglie, il freddo congela. Ugualmente la ricerca dell’ombra, della frescura e dell’aria condizionata abitano i nostri desideri estivi. Si cercano relazioni calde, ma dove trovare frescura, e le relazioni calde sono, d’estate, come il grande piacere di un po’ d’ombra tra la canicola. Attenzione, dunque, alla temperatura, ma a quella delle relazioni, non solo del climatizzatore.
Una seconda altalena: interruzione e vacanza. L’estate interrompe la primavera, come il maturare di un frutto fa terminare la vita di un fiore. «Chiuso per ferie» è l’interruzione tipica di questo tempo, come la risposta automatica dell’email: «Sono in vacanza, risponderò dopo il… agosto». Cosa s’interrompe? E, allo stesso tempo, cosa inizia? Ecco due belle domande per pensare l’estate. Vacanza dice, infatti, mancanza, dimensione di qualcosa di libero e vuoto, al contempo. Cosa è libero e cosa, allo stesso tempo, vuoto durante l’estate? Cosa ci piace liberare e cosa svuotare? Cosa è troppo pieno e spera che “durante l’estate…”?
Infine: riposo e abbandono. L’ebraico Shabbàt, da cui “sabato”, significa cessazione. Ritorna la dinamica dell’interruzione. Il principio sabbatico si radica sulla consapevolezza che la storia non è nelle nostre mani e il vero senso del riposo sta nella scelta di: «Lasciar fare a Dio», senza alcuna rassegnazione al contrario, con la fiducia di chi è soddisfatto della sua parte e allo stesso tempo è consapevole della sua parzialità. Anche il riposo è, quindi, produttivo perché è un abbandono nel terreno della speranza contro e oltre ogni ansia di scadenze, che sono molto spesso le tracce del delirio di onnipotenza che ci abita. Dio si fida così tanto di noi che ha messo nelle nostre mani il mondo e la storia, affidate alla nostra libertà accompagnata sempre dalla sua discreta presenza. Buona estate, dunque, in quella sorpresa che germoglia tra la staticità e l’estasi di ogni stagione.
don Giulio Osto
docente all’Istituto Superiore di Scienze Religiose – Padova e assistente del Collegio Universitario Gregorianum