- Sono le 9.58 di una domenica ordinaria: il mio sguardo vaga tra la navata della chiesa desolatamente semivuota alla ricerca di qualcuno che possa leggere le letture. Incrocio lo sguardo delle signore più anziane e sorrido loro: effettivamente sono le più fedeli e le più presenti, dato che quelli più giovani di me (che pure ho ben più di 50 anni) scarseggiano. Eppure quella delle ore 10 è la messa principale, quella della comunità: è forse troppo presto per i ritmi della città? Effettivamente a quella delle 11.30 entrano persone fino a mezzogiorno. Dove sono a quest’ora gli adulti? A riposare, a colazione nella vicina pasticceria o a correre sul vicino argine, dove forse troverei più fedeli? Come Consiglio pastorale ci siamo interrogati quest’anno su come vivere il “giorno del Signore” rimettendo l’Eucaristia al centro del nostro essere comunità parrocchiale, ma da sondaggi e questionari non è emerso niente che già non si faccia. Eppure…
- … sono le 11.28 di una delle cinque domeniche annuali che vedono la partecipazione di ragazzi e genitori del cammino di Iniziazione cristiana, inclusi i ragazzi delle medie che partecipano al Tempo della Fraternità. Per oltre metà la chiesa è strapiena di ragazzi, i loro genitori sono ammassati in fondo, facciamo fatica a creare un minimo di silenzio per poter iniziare la celebrazione. Mi chiedo dov’è tutta questa gente le altre domeniche: per fortuna non vengono sempre, dovrei pensare ad allungare la chiesa fino in strada. Eppure qualche mese fa una coppia di questi genitori ha celebrato il sacramento del matrimonio, dieci anni dopo il matrimonio civile. Mi ha stupito la motivazione che mi hanno dato: «siamo qui da tre anni, i nostri bambini ci hanno chiesto di poter frequentare la catechesi, abbiamo partecipato a qualche celebrazione della messa e qui abbiamo trovato una comunità accogliente». Capisco di raccogliere dove altri prima di me hanno seminato, magari tra lacrime e delusioni. Oltre che un punto di partenza, la messa è anche un punto d’arrivo (fons et culmen).
- Sono le 20.58 di una domenica di fine agosto e la chiesa si va gradatamente riempiendo. Riconosco i volti arrossati di chi è appena rientrato dalla spiaggia, ma anche quelli stanchi del medico, dell’infermiera, della vigilessa, del volontario della Protezione civile che oggi erano in servizio. Quasi assenti ragazzi e anziani, prevalgono giovani e adulti. Potrebbero trovare buoni motivi per sentirsi esonerati dalla messa, ma ci sono: partecipano con il canto, rispondono, sento che anche la mia omelia cade in un terreno di profondo ascolto. Anch’io sono stanco a quest’ora, ma attorno a me ci sono l’organista, l’animatore del canto, i lettori, la chierichetta: c’è una comunità che crea “casa” per queste persone. Eppure non c’è niente di speciale, l’orario e la stanchezza mi impediscono di “sforare” nei tempi e nei modi: c’è però motivazione, convinzione, volontà di dare un senso profondo alla domenica partecipando all’Eucaristia.
- Sono le 10.15 di una domenica nella parrocchia tedesca dove mi reco da qualche anno per le vacanze. Manca un quarto d’ora all’inizio della messa ma i lettori sono già pronti, la referente della comunità si accorda con il parroco per dare gli avvisi parrocchiali, il folto gruppo di chierichetti vivacizza la sacrestia. Eppure siamo in “diaspora”, cioè una piccola comunità cattolica in un territorio a maggioranza protestante, a nord della Foresta Nera. È l’unica messa in una vallata lunga 25 km, anche qui la maggior parte dei fedeli ha i capelli bianchi ma non colgo lamento, scoraggiamento, delusione: piuttosto la gioia di ritrovarsi come comunità attorno all’Eucaristia. Tutti cantano, rispondono, partecipano attivamente: scherzosamente potrei dire “loro sono tedeschi”, ma forse è la motivazione che conta.
Modi di partecipare diversi che mi ricordano che gli adulti… hanno bisogno di essere trattati da adulti trovando nella messa un motivo di interesse (può essere l’educazione dei figli nel cammino di IC), una comunità viva (non fredda e centrata unicamente sulla figura di chi presiede la celebrazione, ma accogliente e variegata nei ministeri) e un’esperienza di Vangelo vissuto che ci aiuta a vivere con gioia la fede in questo nostro tempo.
don Umberto Sordo, parroco di Madonna Pellegrina, Padova