Enigmatica, polemica, monotona, originale e molto altro ancora: la Prima Lettera di san Giovanni rimane uno scritto inafferrabile e distante da quelle catalogazioni con cui solitamente si presentano i testi biblici al grande pubblico. È una lettera o un’epistola? Un’omelia ante litteram, dal messaggio denso e concentrato, o un agile manuale per orientarsi nell’interpretazione del grande Vangelo di Giovanni? E poi chi l’ha scritta: una personalità autorevole e riconosciuta all’interno delle comunità giovannee o piuttosto la lettera è il prodotto di un lavoro a più mani? Sono davvero molti gli interrogativi che questo breve scritto delle origini cristiane pone al punto da non offrire appigli sicuri e definitivi per comprenderne completamente la sua identità il suo messaggio, gli scopi e il volto dei suoi destinatari.
Bisogna però guardarsi dall’inflazione delle questioni di metodo che rischierebbero di allontanare il contatto diretto con questo testo, certo difficile e complesso, ma non per questo irraggiungibile. Meglio perciò limitarsi a seguire il tema dell’agape, che fa da sfondo alla 20a edizione del Festival Biblico, – il tema che è stato considerato dai commentatori passati e recenti come il centro di questa lettera, la “lettera dell’amore” . Certo il tema è statisticamente predominante, il sostantivo ricorre 18 volte e il verbo 28, risultando così tra i termini “tecnici” più frequenti della lettera.
È di grande importanza che mediante quest’unico tema la Prima di Giovanni possa parlare della relazione di Dio coi credenti, della loro relazione con lui e di quella con gli altri. In modo più chiaro e diretto di ogni altro libro biblico, questo breve scritto pone la questione del rapporto tra amore di Dio e amore del prossimo. Senza, tuttavia, pretendere di definire sistematicamente la realtà dell’agape. Non è questa l’intenzione del testo di 1Gv 4,7-21, dove troviamo l’espressione più nota dell’intero Nuovo Testamento e forse di tutta la letteratura biblica e universale: “Dio è amore”.
Sebbene molto citato e riconosciuto come il fine e l’apice del pensiero giovanneo e cristiano, questo passo non è una speculazione filosofica su Dio né una sua definizione. Certo esso dice di più che «Dio ama» (insieme ad altre attività) e qualcosa di molto diverso da «Amore è Dio» ed è sicuramente giusto ritenere che il detto non significhi soltanto che Dio ama ma che tutta l’attività di Dio è attività d’amore. Se, dunque, tale è l’agire di Dio sperimentato compiutamente nella storia di Gesù, il solo riflesso che lo manifesta visibilmente non può che essere nell’amore per il fratello e per gli altri. Così diventa chiaro che l’amore cristiano non è solo “emozione”, ma scelta coraggiosa sull’umanità dell’altro.
Giuseppe Casarin, biblista