La sua universalità è da sempre considerato un aspetto fondamentale della vita consacrata (VC), come autentica garanzia per il suo futuro. Dal Concilio Vaticano II, tuttavia, il legame della VC con le Chiese particolari è una dimensione che si è notevolmente sviluppata grazie alla riflessione ecclesiologica posteriore allo stesso Concilio. Giovanni Paolo II in un discorso ai Superiori generali del 24 novembre del 1978, diceva:
«Voi siete con la vostra vocazione per la Chiesa universale, attraverso la vostra missione in una determinata Chiesa locale. La vostra vocazione per la Chiesa universale si realizza entro le strutture della chiesa locale… L’unità con la Chiesa universale, attraverso la Chiesa locale: ecco la vostra via».
La riflessione ecclesiologica di questi anni ha portato, poi, a riscoprire che tutte le componenti del tessuto ecclesiale (laici, religiosi, clero diocesano) sono chiamate a lavorare insieme per l’edificazione dell’unico Corpo di Cristo. Questa reciproca consapevolezza è certamente più viva oggi di ieri, anche se si può affermare che nella progettazione generale della pastorale diocesana c’è ancora della strada da percorrere per una piena ed effettiva accoglienza ecclesiologica reciproca.
Papa Francesco dal canto suo parla di un’espressiva ecclesialità del carisma di ogni Istituto. I carismi, scrive,
«sono doni per rinnovare ed edificare la Chiesa. Non sono un patrimonio chiuso, consegnato ad un gruppo perchè lo custodisca; piuttosto si tratta di regali dello Spirito integrati nel corpo ecclesiale […]. Un chiaro segno dell’autenticità di un carisma è la sua ecclesialità, la sua capacità di integrarsi armonicamente nella vita del Popolo santo di Dio per il bene di tutti. […] Quanto più un carisma volgerà il suo sguardo al cuore del Vangelo, tanto più il suo esercizio sarà ecclesiale» (EG, 130).
La capacità di integrazione tra carisma specifico e servizio diocesano si deve tradurre quindi nel fare insieme, ossia impostare un lavoro sulla collaborazione comunionale di tutti, “fare rete” per valorizzare i doni di tutti, senza trascurare l’unicità di ciascuno. Fare insieme comporta, quindi, un maggior coordinamento e una migliore condivisione a livello di progettazione e gestione, a livello di mentalità, di cultura e di prassi tra Istrituti religiosi e Chiesa diocesana che se efficacemente realizzate potranno garantire, come dice papa Francesco, il bene di tutto il Popolo santo di Dio.
p. Adriano Moro, camilliano, superiore della comunità in servizio presso l’Azienda Ospedaliera di Padova
e vicedirettore della Pastorale della Salute della Diocesi di Padova