In questi giorni stiamo progressivamente passando dalla pandemia all’endemia di coronavirus e cresce non solo un senso di sollievo ma anche, per certi aspetti, di rifiuto della condizione di fragilità che tocca tutti. Prima del coronavirus molti si consideravano fortunati perché erano sani, alcuni quasi si pensavano immuni da tutto ed erano tra coloro che potevano, quando se ne presentava la situazione, dedicare un po’ di tempo ad altri che avevano bisogno di aiuto. Oggi però, al di là del dramma vissuto, dovremo essere capaci di riflettere con maggiore serenità sulla fragilità che accompagna la nostra condizione umana. In tanti momenti ci rendiamo conto che, anche se non siamo garantiti di poter superare tutto, non viene meno la nostra vocazione a essere dono per e con il nostro prossimo.
La pastorale della salute in parrocchia aiuta a mantenere in salute la comunità, è in un certo senso la prova del nove, la prova di maturità per la comunità. In una pastorale della salute piena sono coinvolte le tre dimensioni della Chiesa e del cristiano: l’evangelizzazione, la liturgia e la carità. Non può essere delegata al solo presbitero ma coinvolge tutti i ministeri-servizi nella Chiesa, dal sacerdote al laico volontario, dal diacono al religioso. È un ambito nel quale la vocazione laicale a vivere “la chiesa del grembiule” trova una delle realizzazioni più significative. In questo campo possiamo guarire dal pericolo di enfatizzare un culto intriso di parole, guarire anche da deliri di potenza per recuperare le vere priorità.
La pastorale della salute in parrocchia è anche una delle migliori possibilità per essere quella Chiesa in uscita, a cui papa Francesco ci richiama con costanza. Nella pastorale della salute s’incontrano tutti e s’impara a essere a fianco di tutti. Nessuna risposta preconfezionata può funzionare, bisogna saper fare silenzio e stare accanto, leggendo i bisogni e rispondendo con generosità. In questo “essere accanto” inoltre si impara a collaborare con persone di altre comunità o associazioni superando la logica del campanile e se c’è il coraggio di fare un progetto che coinvolga ragazzi e giovani, si possono avere risposte che sorprendono e aiutano a crescere.
Alcune proposte per una pastorale della salute in parrocchia.
Riprendiamo, con le attenzioni che sono richieste, un servizio alla spiritualità delle persone. A partire dal rinnovare periodicamente l’incontro sacramentale con il Signore nell’eucarestia e nella riconciliazione. E, per coloro che non si sentono di fare la comunione eucaristica, è significativo e importante che ci possa essere un incontro che faccia sentire la vicinanza e l’affetto di una comunità che non dimentica nessuno. Ci si può limitare a una preghiera insieme o semplicemente a portare il foglietto parrocchiale per condividere quello che la comunità sta vivendo.
Ci sono però esperienze molto concrete che si stanno realizzando in alcune comunità e possono essere un’ispirazione per tutti. I nostri anziani e ammalati sono spesso affidati a collaboratrici che si prendono cura bene delle esigenze fisiche, ma non riescono a risvegliare “la memoria” del vissuto e di ciò che sta a cuore alle persone. Una visita discreta che richiami ricordi ed esperienze può essere molto utile. Altre volte ci si può rendere disponibili per sostituire il figlio o la figlia e dare loro qualche ora di sollievo dal costante impegno di accudimento (la famiglia di una persona non autosufficiente rischia di essere spesso fagocitata nel servizio alla persona fragile); o per permettere di assolvere altre incombenze concrete. A volte ci si può affiancare per accompagnare persone in difficoltà per una visita o un esame o ancora offrirsi per il servizio di consegna del pasto, anche in collaborazione con il comune. O ancora essere di supporto per far riconoscere quei diritti che sono misconosciuti. E non da ultimo, organizzare un incontro con alcuni ragazzi o giovani permette agli anziani, che non sempre hanno i nipoti vicini o sensibili, di ritrovare la bellezza dell’incontro inter-generazionale.
Queste sono solo alcune possibilità, ma sicuramente quando s’inizia a operare in questo campo una comunità viva trova tantissime occasioni di servizio. Una comunità che non è aperta al servizio ai deboli e fragili è più povera. Manca di un apporto fondamentale perché non si accosta al mistero del dolore che è essenziale per la sua vita. Non si tratta quindi solo di non assolvere al “dovere” della carità ma di sentire che manca l’apporto di una parte essenziale della comunità.
Non è infrequente che alcune persone che si sono dedicate per anni a un loro caro si sentano, quando manca, svuotate di ogni energia e si rinchiudano in se stesse. Alcuni vi leggono una chiamata, una vocazione al servizio ai sofferenti.
Lasciamoci allora guidare dal Cristo, medico delle anime e dei corpi, che ci ha invitati a imitarlo in una attenzione privilegiata ai più deboli e fragili.
don Giuseppe Cassandro, parroco del Sacro Cuore alle Terme e direttore dell’Ufficio diocesano di Pastorale della Salute