L’evangelista Luca racconta che due discepoli sono in cammino da Gerusalemme verso Emmaus. Un viaggio “dimissionario” perché sono sfiduciati, confusi, persi nei loro pensieri negativi. Tanti sogni e visioni sono morti sul calvario assieme al loro Maestro. Gesù aveva loro affidato una missione, li aveva mandati «a due a due», e ora, a due a due, tornano a casa. Gesù si fa loro compagno di viaggio (σύνοδος), li risveglia con la Parola, che scalda il loro cuore, e con l’Eucaristia che nutre la comunione con Lui e tra di loro. Quel viaggio “dimissionario” si trasforma in un santo viaggio “missionario”, impazienti di annunciare a tutti non teorie ma l’incontro, il loro incontro col Risorto.
I cristiani sono gli uomini e le donne della “via”, pellegrini sulle strade del mondo in compagnia del Maestro, desiderosi di annunciare la gioia del vangelo. I cristiani vivono in comunità e si nutrono di Parola, di Pane e di fraternità per essere segno concreto della possibilità di una nuova umanità. I cristiani sono un piccolo e fragile gregge attorno al loro pastore e con Lui ascoltano, fanno discernimento, scelgono.
Quanto sono reali tutte queste affermazioni? È vero che da dimissionari siamo diventati missionari? È vero che siamo desiderosi di annunciare il vangelo? È vero che siamo comunità fraterne riunite attorno alla Parola e al Pane? Non vogliamo rispondere con un netto sì o no, sarebbe troppo facile e sbrigativo; certamente siamo in cammino, siamo confusi come i due di Emmaus in questo “cambiamento d’epoca”, facciamo fatica a coltivare sogni e visioni perché le fatiche e i pochi frutti di tanto lavoro hanno raffreddato il cuore e affievolito tanti facili entusiasmi.
Lo scorso 16 maggio il vescovo ha annunciato solennemente alla Diocesi un sinodo, il sinodo della Chiesa di Padova. Ci ha chiesto di levare il capo e di rimetterci in cammino, ci ha assicurato che il Signore cammina con noi e ha fiducia di noi. Ci ha convocato attorno alla Parola e al Pane spezzato per ritrovarci popolo di Dio che cerca la volontà del suo Signore. Ci ha chiesto di lasciare da parte ogni tentazione “dimissionaria” per ritrovare uno spirito missionario, di fidarci dello Spirito più che delle nostre risorse.
Siamo partiti come Abramo, fidandoci dell’affidabilità di Dio; siamo abitati da tanti dubbi ma con forza preghiamo Dio che ci aiuti; abbiamo tirato fuori i sogni che spesso abbiamo coltivato ma che altrettanto spesso abbiamo messo da parte per limitarci a gestire l’esistente già molto esigente e impegnativo.
Sinodalità, corresponsabilità, partecipazione, fraternità; c’è anche una certa enfasi in tutti questi termini, mentre la realtà concreta è molto più difficile. Papa Francesco ha messo la sinodalità al centro della riforma della Chiesa («La sinodalità è quello che Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio»; «La sinodalità è una dimensione costitutiva della Chiesa»; «La Chiesa è una piramide capovolta: il vertice si trova sotto per servire chi è sopra»). Sono passati 55 anni dal Concilio e prendiamo atto – dice papa Francesco – che siamo ancora lontani da questo sogno. Facciamo fatica a cambiare, anzi c’è chi vuole tornare indietro, chi resiste e chi si è arreso.
La sinodalità favorisce il «noi ecclesiale», nutre la fraternità, ricompone le differenze, permette il discernimento, responsabilizza tutti, concretizza la Chiesa in un luogo preciso, valorizza il vissuto di ciascuno, elabora progetti e apre processi, genera una Chiesa dinamica e creativa al servizio dell’umanità. Ma la sinodalità indica uno stile; il sinodo, invece, è un evento che dà concretezza alla sinodalità, la rende effettiva e concreta. Il Sinodo non è un parlamento dove prendere decisioni, anche se queste ci devono essere, ma realizza il sogno di Chiesa del Concilio dove tutti sono corresponsabili nel cercare la volontà di Dio, nel discernimento e nelle decisioni. Il Sinodo è un evento di Chiesa, è celebrazione del nostro essere discepoli chiamati ad annunciare il vangelo; tocca la nostra spiritualità.
Alla luce di tutto questo, affermare che il Sinodo è una cosa in più da fare è come dire che sedersi a tavola in famiglia, condividere, parlarsi, decidere insieme è una cosa in più rispetto al lavoro, alla cura della casa, all’impegno scolastico dei figli. Per tutto questo ha senso e vogliamo stare in questa sfida.
don Giampaolo Dianin, segreteria del Sinodo diocesano