Per i cristiani di oggi dirsi fratelli in Cristo non è difficile. Riconoscersi, nonostante le permanenti divisioni, come parte di un’unica famiglia cristiana, poggia su un buon sentire comune, avvalorato da un lungo, intenso, a volte non facile, lavoro di dialogo teologico, pastorale ed esistenziale.
Questa riscoperta della fraternità cristiana ha scandito tutto il Novecento e ha trovato in papa Francesco un attento e solerte continuatore. Difficile pensare al caso quando, leggendo Evangelii gaudim, il documento programmatico di Francesco, troviamo, come primo documento del Concilio citato, il n. 6 del Decreto sull’Ecumenismo Unitatis redintegratio (21 novembre 1964). Oltre al contenuto della citazione – che parla della riforma della Chiesa come fedeltà alla chiamata di Cristo – va colta un’ulteriore istanza da parte del Papa, quella cioè di ridare slancio e sostanza al cammino fraterno tra i cristiani appartenenti alle diverse confessioni.
Esempi importanti non mancano e probabilmente è necessario ricordarli. Assistiamo, infatti, a una diminuita sensibilità e conoscenza storica. Questo non gioca a favore del cammino ecumenico. Anzi, rischia di riportarci indietro nel tempo e a richiudere le Chiese in loro stesse, fino a guardare gli altri cristiani attraverso le lenti rotte di facili approssimazioni storiche e dottrinarie.
E allora, in una logica di condivisa storia fraterna, ricordiamo come la vigilia della chiusura del Concilio Vaticano II non fu un giorno vuoto, riempito solo dalla grande attesa della sessione conclusiva del Concilio. In quel giorno, 7 dicembre del 1967, le sedi apostoliche di Roma e di Costantinopoli cancellarono assieme le reciproche scomuniche che avevano portato alla grande divisione del 1054. Fu il frutto di una accresciuta sensibilità verso l’altro, ma anche portava alla luce ed evidenziava il forte senso di fraternità in Cristo che animava i protagonisti di quel momento: il papa Paolo VI di Roma e il patriarca Atenagora I di Costantinopoli. Queste due sedi continuano ancora oggi su quella strada e la propongono all’attenzione delle reciproche Chiese. Basti ricordare come le solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo e di Sant’Andrea vedano sempre lo scambio di delegazioni come testimonianza e suggello di una fraternità riscoperta e vissuta.
Un altro passaggio importante lo abbiamo avuto il 31 ottobre 1999. In quella data veniva sottoscritto un fondamentale documento di mutua comprensione tra cattolici e luterani, la Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione. La dottrina della giustificazione ebbe un peso determinante nella divisione del 1517. Aver trovato parole comuni da parte di cattolici e luterani è stato un risultato che va ricordato con speranza e con gioia. Tale gioia troverà motivo di accrescimento negli anni successivi quando, progressivamente, le comunioni metodista (2006), anglicana (2016) e riformata (2017) sottoscriveranno il medesimo documento, evidenziando così la bontà e la verità del lavoro inaugurato da cattolici e luterani. È proprio di questi giorni la notizia della pubblicazione del lavoro di ricezione che fa della Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione un documento multilaterale e non solo bilaterale, sul quale convergono assieme la Chiesa cattolica e le Chiese che, in diversa maniera, hanno preso l’avvio dalla Riforma di Martin Lutero.
Da quanto brevemente ricordato dobbiamo prendere esempio. La grande storia diventa la nostra storia quando si ha la volontà di trovare gesti e parole condivisi, radicati nel comune contesto territoriale. Sicuramente non sarà possibile a tutte le comunità parrocchiali della nostra Diocesi, ma per alcune sì, vista la presenza di altre comunità cristiane presenti vicino a loro. Forse non sarà facile, tantomeno immediato. Sarà però necessario. Una necessità che si confonde col dovere evangelico, perché non si tratta di andare verso l’altro. Si tratta semmai di andare verso noi stessi, perché con noi, anche loro, cristiani di altre confessioni, sono inseriti, mediante il battesimo, nell’unico Cristo.
don Enrico Luigi Piccolo, direttore Ufficio diocesano di Pastorale dell’ecumenismo
e del dialogo interreligioso