In questi anni, in molte parrocchie della nostra Diocesi, si è cercato di investire sulla pastorale battesimale. L’attenzione è stata rivolta soprattutto al tempo pre-battesimale, piuttosto che a quello del post-battesimo, che resta quindi un tempo che potremmo definire di “nessuno”. Infatti, i genitori che chiedono il sacramento del battesimo per il proprio figlio/a, prima della celebrazione incontrano più volte sia il parroco che l’équipe, ma ciò accade difficilmente nel tempo successivo.
E tuttavia questo tempo non è meno importante del primo e, in ogni caso, non andrebbe messo da parte solo per la difficoltà, più o meno diffusa, di incontrare i genitori o di ottenere i risultati sperati.
Si tratta di un disagio, piuttosto, che testimonia come all’interno della comunità la richiesta di riti da parte delle famiglie non sia sempre sinonimo di fede, né una manifestazione di reale vita cristiana: da ciò l’importanza di accompagnare i genitori anche nel post-battesimo, aiutando la fede a essere una scelta libera frutto più di una conversione che di una tradizione.
Per molti genitori, infatti, anche se non per tutti, incontrare l’équipe battesimale diventa un’opportunità per approfondire la fede personale, molto spesso rimasta a livello infantile, e di accedere a un’occasione di secondo annuncio del Vangelo, in cui poterlo sentire, per la prima volta, pertinente e desiderabile per la propria vita.
Il tempo del post-battesimo ha bisogno quindi, a mio parere, di essere coltivato con alcune attenzioni, in modo da generare tutte le condizioni necessarie e favorevoli perché i genitori non vengano abbandonati.
La prima attenzione è tenere sempre presente il tempo degli adulti. Non si possono fare proposte ai genitori che non siano rispettose dei loro impegni e dei ritmi delle loro giornate, spesso occupate da un lavoro intenso e dalla cura per i figli. Scegliere pochi appuntamenti durante l’anno in cui invitare i genitori, magari utilizzando alcune ricorrenze liturgiche che l’intera comunità già celebra, risulta saggio. È opportuno poi alternare questi momenti comunitari con una relazione personale, coltivata informalmente e anche fuori dai contesti parrocchiali. Per questo è necessario continuare a visitare la coppia in casa, anche solo per bere un caffè, o invitare la stessa a casa propria. Le relazioni spontanee, gratuite, amichevoli, fuori da ogni pretesa e che escludono il giudizio, facilitano l’ascolto dei veri bisogni degli adulti mascherati, alla volte, dietro a un’apparente indifferenza e possono essere un annuncio implicito del Vangelo creando le condizioni per quello più esplicito. Incontrare con questo stile i genitori significa pure considerare ogni famiglia come unica, per condizioni e storia; significa soprattutto farla sentire meno sola nel delicato compito educativo dei figli, evitando inutili generalizzazioni.
Altra condizione favorevole è quella di offrire occasioni di confronto su tematiche che riguardano le questioni che interessano gli adulti di questa età. Ecco, dunque, che se il figlio ha un’età compresa tra 0 e 3 anni risultano utili tutte le tematiche che riguardano la vita di coppia o alcuni aspetti legati alla fede; quando invece il figlio ha dai 3 ai 6 anni è importante offrire ai genitori gli strumenti necessari a scoprire e a comprendere il loro ruolo di educatori alla vita e alla fede. Un aiuto particolare va nell’offrire dei criteri per riuscire a dare le risposte adeguate ai primi perché dei figli dopo i 4 anni sul senso profondo delle cose (Perché si muore? Si può vedere Dio? Cosa ha fatto Gesù…). Così pure nell’aiutare i genitori a ritrovare quel linguaggio simbolico-rituale all’interno della vita famigliare che è preludio del linguaggio della fede.
In definitiva, queste necessarie attenzioni, possono aiutarci a trasformare il “tempo di nessuno” in un tempo di scelta consapevole, utile e di fede ritrovata.
don Giorgio Bezze, direttore Ufficio diocesano per l’Annuncio e la Catechesi