L’inizio fu nel 1959 con tre preti in Kenya in fraternità con la Diocesi di Nyeri e in collaborazione con la congregazione missionaria della Consolata di Torino, nelle “parrocchie – missioni” da loro servite. Questa fu il tempo degli inizi, una fase embrionale e assestamento piena di trepidazione e novità.
Un secondo grande sviluppo avvenne dopo l’indipendenza (1963) quando le terre del Distretto del Nyandarua e Laikipia vennnero distribuite alla popolazione locale. Di colpo la Diocesi di Nyeri si trovò in un territorio molto vasto come la Diocesi di Padova e con una popolazione che dai 100mila abitanti iniziali arrivò a 700mila. Enorme fu lo sforzo di organizzare il servizio pastorale con sette nuove grandi missioni, un ospedale, quattro dispensari, un collegio per bambini con disabilità, una scuola per bambini sordomuti, e sponsorizzazioni di numerose scuole elementari e superiori; il tutto nei primi 18 anni. A questo sforzo parteciparono in comunione di impegno, di visione e pure di finanze un nutrito numero di volontari, tra cui 12 volontari del Cuamm, le congregazioni delle Suore Dimesse di Padova e le Piccole Figlie di San Giuseppe di Verona, e una programmata presenza di sacerdoti diocesani di Padova (ogni anno erano impegnati sul campo dagli 8 ai 12 preti). Insieme erano impegnati nelle varie istituzioni sanitarie ed educative, nel servizio parrocchiale, nelle attività di formazione spirituale d umana e nelle attività sociali che privilegiavano le donne, i bambini gli ammalati, i disabili e nella promozione delle vocazioni. La motivazione proveniva dalla solidarietà che li univa tra loro nella preghiera, nella cassa comune, nella vita di gruppo e molte volte anche nella condivisione della mensa. La visione che li accomunava dava risalto alla formazione dei responsabili di comunità e specialmente al laicato. Insieme a una cappella iniziale sorgeva anche un centro pastorale per offrire ai cristiani l’opportunità di crescere attraverso i gruppi e le associazioni nell’auto sostegno delle comunità. I tre pilastri che li guidavano erano la promozione di una Chiesa self-supporting, self-ministering e self-propagating. Un caposaldo rimase sempre quello di coniugare la fede con la carità nelle opere sociali: dai gruppi di cucito delle donne, agli asili, scuole, ospedali. La convinzione sottostante era che la comunità cresce con le persone dentro i loro bisogni spirituali e materiali.
Una terza fase di collaborazione emerse negli anni Novanta con l’africanizzazione sempre più visibile e accentuata; le religiose si arricchirono di vocazioni locali, le comunità cristiane progredivano con leader locali e le vocazioni sacerdotali aumentavano con un clero locale sempre più numeroso. Anche le nuove parrocchie a loro affidate iniziarono a essere la maggioranza. Accanto all’ospedale la scuola di infermieri iniziava a preparare personale locale. Si va concretizzando così il motto del self-ministering e con la pastorale delle piccole comunità cristiane, ma anche il self-propagating: ogni parrocchia è fatta di varie chiese e ciascuna di queste ha delle piccole comunità di famiglie chiamate “mwaki”, focolari. In questo periodo cresce anche il self-supporting, nella condivisione e nello sforzo perché ogni comunità sia finanziarimente sostenuta e sostenibile attraverso il sostegno materiale dei cristiani. Ma il self-supporting va anche oltre, richiede di diventare “comunità in Cristo, ma anche nella pentola”, cioè nella catechesi, nella preghiera, nei sacramenti, ma anche nella carità reciproca, nel servizio agli ultimi, nelle scelte elettorali, nella cooperazione ecc. In questa fase e nell’impegno sociale verso i più deboli, si promuove un passaggio di mentalità ulteriore in cui la solidarietà e il servizio vengono promossi tra la gente del posto e non soltanto ricercati all’esterno. Partendo dalla convinzione che il Kenya è un paese in crescita e pieno di risorse umane e naturali i cristiani sono invitati e promuovere una solidarietà dal basso, secondo il principio che nessuno è così povero da non aver nulla da offrire e nessuno così ricco da non necessitare di nulla.
La quarta fase arriva con la nascita della Diocesi di Nyahururu nel 2003. Questo fatto riafferma che questa chiesa locale seppur giovane, è giunta a maturità. È in questo contesto che si evidenzia sempre più che la collaborazione di Padova ha bisogno di vie e spazi nuovi. Le vie nuove sono che i “padri ammirano e desiderano per i figli la loro autonomia”. Si iniziano a ripetere espressioni come “noi dobbiamo diminuire ed essi devono crescere”, “la luce va posta sopra il tavolo per illuminare” “questa è la nostra Chiesa, con i suoi lati meravigliosi e i suoi fallimenti, non ne abbiamo un’altra e la amiamo così com’è”. Il motto sempre più presente è “consegna e futuro” in una collaborazione di responsabilità e di offerta di quelli che riteniamo possano essere valori da continuare a donare, come l’ecumenismo, il volontariato, le comunità cristiane sostenibili e povere, servizio nell’onestà e dignità, formazione delle coscienze e soprattutto dei giovani, spiritualità incarnata… Questo servizio è offerto come testimonianza.
E così in questa consegna si aprono spazi nuovi e l’impegno in Etiopia è una continuità necessaria. La comunità cristiana per sopravvivere ha bisogno di grandi polmoni capaci di respirare per il mondo. La missione continua, con modulazioni diverse, in luoghi e con culture lontane tra loro, ma con lo stesso fuoco nel cuore, per far arrivare il messaggio del Cristo, uomo e Dio, sino ai confini della terra.
In questo momento in cui don Mariano e don Sandro rientrano definitivamente dal Kenya, la visita di don Nicola, Elisabetta e don Stefano dall’Etiopia è stata un grande segno di speranza. A noi ha richiamato gli inizi coraggiosi dei nostri fratelli e sorelle di Nyahururu tanti anni fa e che sembrano ripetersi ora negli altipiani dell’Oromia. Nei vari incontri fraterni abbiamo rivisto le ispirazioni che hanno accompagnato il servizio della Chiesa di Padova in queste terre con esperienze spesso molto positive e a volte anche faticose; queste ispirazioni manifestano la continuità del cammino nella diversità dei luoghi e delle persone. È stato un bagno di ecclesialità, comunione e speranza.
don Sandro Borsa, missionario fidei donum in Kenya