In occasione della Prima Giornata mondiale dei poveri (19 novembre 2017) papa Francesco così affermava: «Non pensiamo ai poveri solo come destinatari di una buona pratica di volontariato da fare una volta alla settimana, o tanto meno di gesti estemporanei di buona volontà per mettere in pace la coscienza. Queste esperienze, pur valide e utili a sensibilizzare alle necessità di tanti fratelli e alle ingiustizie che spesso ne sono causa, dovrebbero introdurre a un vero incontro con i poveri e dare luogo a una condivisione che diventi stile di vita». “Incontro” e “condivisione”: due termini che si affacciano alla vita pastorale delle nostre comunità parrocchiali come “sfide” che colgono la fatica del mondo in cui viviamo.
Del resto, quando affermiamo che la carità deve essere collocata al centro della nostra pastorale non facciamo altro che ribadire la necessità di “abbattere i muri” dell’indifferenza e di ritrovare il coraggio di “andare incontro” al povero, come “luogo teologico” in cui Dio si manifesta nella sua immagine più espressiva e evocativa.
Su questa linea si è pronunciato il card. Francesco Montenegro, nel suo intervento al convegno nazionale delle Caritas, ad Abano, lo scorso aprile: «I poveri – ha sottolineato il cardinale – da noi, oltre al servizio, si aspettano l’amicizia. Dobbiamo avere uno sguardo nuovo, imparare a stare accanto a loro, anche senza dare risposte e costruire insieme comunità frizzanti, aperte e non chiuse come ripostigli».
In quell’occasione il direttore della Caritas, don Francesco Soddu, ribadiva che «oggi le comunità entro cui viviamo sono realtà fragili, che sempre si sfaldano e si spopolano, che cambiano, si arricchiscono di nuove persone, spesso giovani, migrate da altri paesi, e quindi si ricompongono e si ripensano, non senza tensioni. Mutano, e quindi anche noi dobbiamo mutare con loro, senza però omologarci alle mode e alle tendenze».
Quindi, la carità rimane il segno dell’imprevedibile provvidenza di Dio, che “accarezza” i “gigli del campo”, e dell’imponderabile “fantasia” del suo cuore di Padre. Ecco perché le comunità parrocchiali non devono essere “schiave” di strategie “unilaterali” per quanto riguarda i progetti concreti di carità, ma sono chiamate ad ascoltare la voce dello Spirito, che “intuisce” quali possano essere le vie “educative” per rispondere ai bisogni “veri”delle persone.
Tale “libertà dello Spirito” che si esprime nella carità concreta lo ribadisce ancora papa Francesco nel suo Messaggio in occasione della Prima giornata mondiale dei poveri:
«Quante pagine di storia, in questi duemila anni, sono state scritte da cristiani che, in tutta semplicità e umiltà, e con la generosa fantasia della carità, hanno servito i loro fratelli più poveri!».
Infine, nell’orizzonte ecclesiale, secondo il quale la Chiesa è “corpo di Cristo”, non possiamo fare altro che convenire con papa Francesco, sottolineando che la “cultura dell’incontro” rimane non solo un “principio ermeneutico”, ma anche un “principio teologico”, dal momento che nel povero si tocca con mano la carne di Cristo (cf. EG 3).
A questo punto e su questa linea, la prossima Visita pastorale del nostro vescovo potrebbe essere l’occasione per rispondere all’interrogativo dell’indimenticato don Giovanni Nervo:
«Le nostre presenze di carità esprimono condivisione, promozione, coinvolgimento comunitario, impegno sociale e politico, preferenza per i più poveri?… Solo così potremo riuscire ad avere un’attenzione particolare e costante al “novum”, ossia al futuro auspicato, voluto e tessuto con la presenza rigenerante di Dio».
p. Mauro Pizzighini, dehoniano, parroco del Crocifisso