L’antichissima vicenda dell’Ordo lectorum (il collegio di coloro che leggono la Parola di Dio durante la liturgia) è certamente veneranda e pone le sue radici nell’antichissimo uso cristiano, presente già nel culto di Israele, di leggere i testi sacri nel corso delle azioni liturgiche. Già autori cristiani come Tertulliano, la Traditio apostolica, Cornelio, Cipriano citano i lectores, talvolta con l’appellativo di parvuli o infantuli, scelti probabilmente tra gli adolescenti per avvalersi di una voce limpida e squillante (che ben si poteva ascoltare nelle affollate e vaste basiliche cristiane) e di una vista non offuscata dall’avanzamento dell’età. A queste caratteristiche si aggiungevano, forse, l’innocenza e la schiettezza, tipiche di persone giovani. I lettori sono citati a Roma (come una vera e propria Schola lectorum), in Pannonia (con un primicerius, colui che ha autorità su di loro come “primo”), in Gallia, in Africa (sant’Agostino)… Già dal V secolo esistono, per i lettori, delle scuole di formazione alla Sacra Scrittura e alla teologia. Essi – istituiti lectores dal vescovo con uno speciale rito liturgico – potevano leggere tutti i libri sacri, incluso il Vangelo (che poi passerà definitivamente al diacono a Roma tra il VI e il VII secolo) ed erano anche depositari e custodi dei “libri” (probabilmente dei rotoli) liturgici. Alcune letture, dalla fine del VI secolo, passeranno al suddiacono. Nella Chiesa antica il ministero del lettore era strettamente legato a quello di cantore; tra essi infatti si sceglievano il psalmista, per il canto del salmo graduale (simile al nostro salmo responsoriale); le stesse letture erano celebrate con un tono di cantillazione che esprimeva il senso spirituale del testo, liberandolo da una mera recitazione didattica e dandogli, altresì, una veste piena di forza e di sapore sacro. Ai lettori, da sempre, sono stati riservati dei libri liturgici e uno spazio esclusivo, di potentissima forza simbolica, a partire dalla sua nativa elevazione: l’ambone.
Guardando a tale ministero, secondo una prospettiva di ampio respiro, comprendiamo come la sua principale finalità sia sacramentale e cristologica: i lettori, infatti, non adempiono alla mera funzione di “prestare la voce” a Dio, esserne i portavoce, o cose del genere… La Parola di Dio è la persona divina del Verbo, il Figlio di Dio, entrato nel mondo facendosi carne. Ciò indica come per noi cristiani, la Parola di Dio è – prima di ogni altra cosa – Dio stesso e solo in senso derivato e sacramentale un testo scritto: quest’ultimo, ispirato dallo Spirito Santo agli autori sacri, ne è il “sacramento”, cioè il segno visibile, lo strumento scelto da Dio per rendere la sua Parola accessibile agli uomini. I lettori, in tal senso, sono una visibile e necessaria mediazione di questo atto con cui Dio affida agli uomini la sua Parola; essi – leggendola – rendono presente alla Chiesa ciò che la Parola di Dio è per il mondo: Cristo stesso il quale, in modo velato e attraverso la celebrazione della Parola di Dio, si fa presente alla sua Chiesa. La Parola di Dio non è celebrata per essere oggetto di riflessione, ma perché la Chiesa sia posta alla reale presenza del Signore Gesù Cristo. La sua Parola non è, in tal senso, un veicolo di contenuti di fede o di norme, quanto piuttosto la sua stessa vita divina (rivelata dalle verità della fede) che eternamente si offre nella Pasqua di morte, sepoltura e risurrezione.
L’altissimo valore del ministero del lettore richiede che esso sia istituito dal vescovo (o, di fatto, affidato ai battezzati dai presbiteri) al fine di indicare come la celebrazione della Parola di Dio sia un evento della Chiesa, cui la Parola di Dio appartiene e che continuamente si dona agli uomini di ogni tempo.
I lettori sono chiamati a porre, per questo onorabile ministero, una serie di attenzioni celebrative quali, l’uso del Libro (il Lezionario e l’Evangelario), la preparazione e la comprensione del testo, la percezione della relazione con l’assemblea, con il luogo (l’ambone), il tono della voce e il ritmo della lettura, il silenzio… È evidente che per un compito così alto serva una preparazione specifica e curata, allontanando la tentazione delle facili approssimazioni.
don Gianandrea Di Donna, Ufficio diocesano per la Liturgia